L'inferno degli operatori sanitari: «Ci chiedono di fare foto ai morti per poterli vedere l’ultima volta»

«Ci chiedono di fare foto ai morti per poterli vedere l’ultima volta»
«Ci chiedono di fare foto ai morti per poterli vedere l’ultima volta»
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Domenica 5 Aprile 2020, 03:15 - Ultimo aggiornamento: 13:19

JESI -  E’ passato un mese dal primo ricovero per Covid-19 all’ospedale “Carlo Urbani”. Trentuno giorni durante i quali questo nemico invisibile ha mostrato il peggio, mettendo anche i più validi professionisti di fronte alla resa. E di fronte alla paura di morire: hanno prestato assistenza a circa 150 pazienti Covid positivi, ma 15 operatori sanitari sono stati contagiati. 

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Il nosocomio è la prima struttura sanitaria dell’Area vasta a riconvertirsi per fronteggiare l’emergenza Coronavirus attivando un reparto Covid dedicato (Covid1 con 24 posti letto) poi subito un secondo (Covid 2 con 12 posti letto) e, parallelamente, utilizzando i posti letto di Terapia Intensiva per il trattamento dei pazienti Covid positivi. L’unità di Terapia Intensiva diretta dal dottor Tonino Bernacconi ha effettuato il primo ricovero di un paziente affetto da Covid-19. «Questa situazione è disumana - racconta il primario - abbiamo paura di morire, a casa non possiamo abbracciare i nostri cari. Qui siamo solo voci e facce schermate costretti spesso a comunicare al telefono che un congiunto è morto. Addirittura ci hanno chiesto di fare una foto al deceduto pur di vederlo un’ultima volta. Ma non possiamo, pur con tutta la pietà». 

Già al 12 marzo con la saturazione degli ospedali riuniti Marche Nord la direzione Asur ha disposto la centralizzazione verso Jesi dei trasporti dei pazienti Covid, tanto che «in pochissimo tempo si è visto trasformare l’ospedale per accogliere i pazienti Covid positivi – dice il direttore dell’Area vasta2 Giovanni Guidi – grazie allo sforzo di tutti i professionisti e della direzione sanitaria per trasferire tutti i posti letto disponibili e al contempo, lasciare inalterate le attività indispensabili come il dipartimento materno-infantile, la traumatologia e la chirurgia d’urgenza, oltre alle attività del centro diabetico e l’assistenza oncologica. Siamo riusciti a dare una risposta qualificata fino ad oggi, fino all’arrivo del pre-triage della protezione civile e dell’ospedale da campo della Marina Militare che dividerà con noi i 40 posti letto». Ieri sono arrivati in forze due medici volontari della Protezione civile e 3 infermieri. L’ospedale Carlo Urbani, grande del nome che porta, ha accolto oltre il 50% di pazienti Covid positivi provenienti da Pesaro. Attualmente sono disponibili 82 posti letto di degenza ordinaria, 18 posti letto semintensivi, 15 posti letto di terapia intensiva. «Una riorganizzazione che ha reso il “Carlo Urbani” di Jesi la prima struttura Asur in grado di accogliere il maggior numero di degenti Covid positivi» aggiunge la direttrice di presidio unico Stefania Mancinelli, mentre la direttrice dell’ospedale jesino Sonia Bacelli sottolinea l’aspetto emotivo: «Abbiamo conosciuto la paura ma anche trovato la forza di andare avanti». 

L’Unità operativa di Medicina Interna diretta dal dottor Marco Candela è stata la prima coinvolta nella lotta alla pandemia da Coronavirus dedicando, dall’ultima settimana di febbraio, una figura medica con competenze infettivologiche (la dottoressa Anna Maria Schimizzi) sia al coordinamento del micro-team Area Vasta2 dedicato ai tamponi domiciliari sia al ruolo di collegamento con le strutture regionali (Gores, Asur Marche) nei percorsi di centralizzazione dei pazienti Covid positivi. «Il valore aggiunto - dice il dottor Marco Candela - che ha reso possibile questa nostra impresa contro il Coronavirus è stato la grande condivisione unita al buon senso di tutti gli operatori. Abbiamo dato prova di reggere bene». 
 

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