Cerutti, direttrice Rianimazione di Torrette: «Il virus circola ancora. Se non è necessario uscire, state a casa»

Il reparto Rianimazione dell'ospedale di Torrette
Il reparto Rianimazione dell'ospedale di Torrette
di Stefano Rispoli
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Venerdì 1 Maggio 2020, 03:05

ANCONA  - Tornare lentamente alla normalità, sì, ma guai a sottovalutare il nemico. Chi ha trascorso due mesi in trincea e ha visto persone morire di Covid sa che la battaglia non è finita. «Io sono preoccupatissima, vedo una tendenza a rilassarsi che non è giustificabile: gente che gira senza protezioni, assembramenti, distanze non rispettate, anche nell’ambiente ospedaliero, dove è un attimo che il contagio torni a diffondersi nelle aree pulite». Dunque, Elisabetta Cerutti, direttrice della Sod di Anestesia e Rianimazione di Torrette, è troppo presto per entrare nella fase-2? «E’ giusto che si riaprano le attività economiche, ma deve valere sempre la regola per cui, se uscire non è necessario, è bene restare in casa. Trovo molto pericoloso questo atteggiamento di distensione perché il virus non è scomparso. Ancora per qualche mese è importante rinunciare allo svago e prestare massima attenzione. E non mi rivolgo solo alle persone anziane. Perché abbiamo assistito molti giovani in questi due mesi». 

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Come avete affrontato l’emergenza nel reparto? «Da un lato siamo diventati la Rianimazione “pulita”, mentre la Clinica di Rianimazione era dedicata ai soli Covid, quindi abbiamo aumentato i posti letto da 12 a 16. Dall’altro, con l’incremento dei pazienti positivi, abbiamo trasformato un’ala del Blocco operatorio, 10 sale più la Pacu, in una terapia intensiva a pressione negativa per Covid. Non è stato facile: in una notte sono arrivati 6 pazienti da Fano e in due mesi abbiamo gestito 39 ricoveri nel Blocco operatorio con un’équipe mista di infermieri e medici. La nostra coordinatrice, Nadia Moroni, è stata un pilastro fondamentale nell’organizzazione dei turni e nell’approvvigionamento di strumenti e farmaci». Il Covid-6, di cui lei è la responsabile, ora verrà smantellato? «E’ ancora attivo con 4 pazienti che nei prossimi giorni verranno trasferiti e l’attività si chiuderà, lasciando però aperta una “finestra” per eventuali recrudescenze del virus: la Pacu, ad esempio, resterà a pressione negativa con 6 posti».

L’attività del Blocco operatorio è stata penalizzata dalla pandemia? «L’emergenza-urgenza è stata sempre preservata, ma l’attività di routine è stata ridotta, con un dimezzamento degli interventi chirurgici: da 12 sale di elezione siamo passati a 3, lavorando 6 giorni su 7, dalla mattina alla sera, sfruttando tutti gli spazi disponibili e dando priorità alle chirurgie specialistiche. Ma da una settimana le urgenze sono tornate ad aumentare in modo considerevole perché la gente si muove di più. Visto l’andamento del contagio, si pensa a un graduale ritorno alla normalità del Blocco operatorio, dopo la sanificazione delle aree». 

In trincea contro il Coronavirus: che esperienza è stata per voi? «Ricordo la fatica, davvero tanta, ma anche il grande spirito di sacrificio di medici, infermieri, anestesisti, medici in formazione, specializzandi, Oss. Tutti sono stati fondamentali. Non nego che c’è stata paura al cospetto di una malattia all’inizio sconosciuta.

La cosa più toccante è l’isolamento, l’impossibilità di vedere i familiari che non possono assistere i propri cari nelle aree Covid e spesso ci chiedono di poter parlare con loro al telefono, con una videochiamata, o semplicemente di consegnargli una foto. Il distacco dalla famiglia è straziante, come lo è per noi dover dare informazioni solo al telefono». 

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