Strage di Corinaldo, uno dei 6 rapinatori si chiama fuori: «Ho fatto tanti errori, ma con i morti della Lanterna non c'entro nulla»

Uno degli imputati per la strage della Lanterna Azzurra
Uno degli imputati per la strage della Lanterna Azzurra
di Federica Serfilippi
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Venerdì 25 Febbraio 2022, 04:50

ANCONA - «Fino a quando avrò un filo di voce, continuerò a gridare la mia estraneità in merito alla tragedia di Corinaldo. Con quei fatti e con chi ha concorso nel causarli io non c’entro nulla». Sono le parole di Andrea Cavallari, uno dei sei rapinatori residenti nella Bassa Modenese, accusati dalla procura di aver contribuito a trasformare la Lanterna Azzurra, nella notte dell’8 dicembre 2018, in una trappola mortale, dove persero la vita sei persone e ne rimasero ferite circa 200.

A scatenare l’inferno era stato l’utilizzo di una bomboletta di spray al peperoncino, spruzzata per facilitare scippi e rapine di collanine d’oro, strappate ai giovani utenti del locale. 
Ieri mattina, il 23enne – in collegamento con il tribunale dal carcere di Bologna – ha rilasciato dichiarazioni spontanee alla Corte d’Assise d’Appello nell’ambito del processo bis che in primo grado l’ha condannato a 11 anni e 6 mesi, in abbreviato. A lui e agli altri cinque imputati la procura aveva riconosciuto l’omicidio preterintenzionale, lesioni personali e singoli episodi di furti e rapine, ma non l’associazione a delinquere. «Non riesco a non rivolgermi – ha detto Cavallari, facendo riferimento alla Corte, agli avvocati, alle parti civili, ai familiari delle vittime e al pubblico ministero – ad ognuno di voi. Nella mia vita ho commesso innumerevoli errori e ne sono consapevole. Non voglio giustificarmi e non voglio nascondermi per sminuire le mie azioni. Le ho fatte e voglio pagare quello che mi spetta, continuando a chiedere scusa. Ma non posso che chiedere una cosa: vi scongiuro di guardare alla mia posizione con obiettività. Con i fatti di Corinaldo e con chi ha concorso nel causare quella tragedia io non c’entro nulla. Finché mi rimarrà anche un solo filo di voce, continuerò a gridare la mia estraneità». Come era stato in primo grado, i difensori del 23enne, hanno puntato sull’assenza degli elementi per attribuire l’omicidio preterintenzionale e l’associazione a delinquere, reato quest’ultimo non riconosciuto in primo grado dal gup e diventato motivo di appello per la procura. «Non c’è modo di parlare di associazione – hanno detto i legali Francesco Muzzioli e Carlo Pighi – né di un accordo preventivo per il concorso tra le parti. Cavallari non ha fornito un contributo morale o materiale. La presenza all’interno della Lanterna Azzurra quella notte non è un elemento sufficiente per attribuirgli quei reati». Da quando è in carcere, Cavallari si è iscritto all’ateneo di Bologna, alla facoltà di scienze giuridiche (corso di laurea in consulenze del lavoro e delle relazioni aziendali), sostenendo positivamente qualche esame. Sulla stessa lunghezza d’onda della mancanza dei presupposti per attribuire i reati di omicidio preterintenzionale e dell’associazione si è posta la difesa del 24enne di origine tunisina Moez Akari e del 23enne marocchino Souhaib Haddada. Anche loro erano collegati dal carcere. Il primo dal gup è stato condannato a 11 anni e 2 mesi, il secondo a 10 anni e 11 mesi. 
Stando all’avvocato Gianluca Scalera, i due imputati «non hanno tenuto una condotta tesa a provocare la tragedia di Corinaldo.

Non hanno agevolato la sequenza causale che ha portato a quei fatti. Loro non hanno fatto nulla. I ragazzi sono morti perché è crollata la balaustra esterna, perché la Lanterna era un magazzino trasformato in una discoteca, perché le uscite di sicurezza erano idonee. Lo spray non c’entra nulla. Concorso o associazione? Gli imputati si sono ritrovati a Corinaldo senza mettersi d’accordo. Erano anche rivali (per gli scippi, ndr) tra loro». Il 10 marzo toccherà parlare alle difese del 22enne Ugo Di Puorto (12 anni e 4 mesi in primo grado) e dei coetanei Raffaele Mormone (12 anni e 4 mesi) e Badr Amouiyah (10 anni e 5 mesi). Poi, le repliche e la sentenza della Corte presieduta dal giudice Giovanni Treré. 

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