Bocchini di Confindustria: ​«I rincari? Non è la guerra ma solo speculazione. Il fattore emozionale del conflitto peggiora il quadro»

Bocchini di Confindustria: «I rincari? Non è la guerra ma solo speculazione. Il fattore emozionale del conflitto peggiora il quadro»
Bocchini di Confindustria: ​«I rincari? Non è la guerra ma solo speculazione. Il fattore emozionale del conflitto peggiora il quadro»
di Maria Cristina Benedetti
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Giovedì 10 Marzo 2022, 02:05 - Ultimo aggiornamento: 11 Marzo, 08:24

ANCONA - Nessun razionamento, ma pura speculazione. Pierluigi Bocchini dirada le ombre: «I prezzi alle stelle non sono conseguenza della guerra». Il presidente di Confindustria Ancona va di corollario: «Certo, il fattore emozionale esalta le manovre finanziarie». 


Un susseguirsi di crisi. Il rischio è di incidere profondamente sulla competitività? 
«L’effetto umano ed economico è devastante, soprattutto perché va a inserirsi in quadro economico già deteriorato. La produzione industriale a gennaio cala ancora del 3,4%». 

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Una decrescita determinata dai rincari delle materie prime e dell’energia? 
«Non cadiamo nell’equivoco.

Gran parte di questi aumenti non sono stati determinati dalla scarsità dell’approvvigionamento e non sono legati all’attualità dell’attacco russo all’Ucraina. Piuttosto sono stati generati da grandi acquisti fatti da player internazionali. Con i contratti futures si impegnano a comprare oggi per determinare l’offerta domani. Movimenti che risalgono ad anni fa». 


Un’eccezione? 
«Per alcun prodotti esiste un problema logistico, come per esempio mais o farine bloccate nel porto di Odessa». 


Le implicazioni del conflitto armato?
«Aggravano le conseguenze della speculazione. Il fattore emozionale, come quello generato da un evento bellico, l’alimenta. È il terreno fertile. L’economia si basa sull’aspettativa. Così i prezzi schizzano».


Quindi nessuno ha chiuso i rubinetti.
«Tutt’altro. Dobbiamo sfatare questa convinzione. I gasdotti russi hanno aumentato, rispetto al periodo pre-guerra, i livelli di erogazione. Non c’è alcun razionamento». 


Putin non se lo potrebbe permettere?
«Esatto. Noi con il gas gli fruttiamo 700-800 milioni al giorno. Altra questione sono le sanzioni che noi applichiamo e il tentativo, con le fonti alternative, di renderci autonomi a livello energetico. Ma, ripeto, nessuno ha chiuso i rubinetti». 


La finanza tuona più delle armi?
«Le faccio un esempio. Questa mattina (ieri, ndr) sono state sospese le quotazioni del nichel al London Metal Exchange. Uno stop imposto per eccesso di rialzo. In pratica, una acciaieria cinese ne aveva fatto incetta per condizionarne l’andamento. Se esistesse un antitrust internazionale queste operazioni verrebbero se non bloccate almeno regolate, limitate».

 
E i mercati non verrebbero strozzati. 
«Esatto». 


Entriamo nel cuore della crisi, quella che si tocca. Che tocchiamo. Costi alle stelle, bollette e benzina fuori controllo, commercio in ginocchio, aziende in affanno. Che fare? 
«Primo punto, imprescindibile: risolvere il più velocemente possibile il conflitto. Vanno ripristinate le condizioni ordinate sui mercati».


Per togliere linfa alla speculazione?
«Subito». 


Nell’attesa? 
«Il piccolo commerciante può tentare di scaricare i rincari sul mercato, finché è in grado di assorbirli. Le imprese possono fare ben poco. Molte bloccano la produzione perché non possono sostenere le spese. A queste condizioni non conviene e pensare che il portafoglio ordini è pieno. Mai come oggi». 

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