ANCONA - Se non li avessero fermati in tempo, rinchiudendoli in un carcere minorile, l’avrebbero fatto ancora. Strappare telefonini di mano ai passanti, come anche soldi dalle tasche di ragazzini, stava diventando la loro specialità.
Ormai ai due ragazzi di origine magrebina, adolescenti nati ad Ancona da genitori sbarcati a Lampedusa ma ormai con cittadinanza italiana, bastava un’occhiata per capire se lo smartphone appoggiato all’orecchio di una persona incrociata in strada era appetibile o no.
Come l’iPhone scippato a una studentessa la sera del 30 novembre scorso dalle parti di piazza Pertini, un modello XR, gingillo tecnologico da mille euro e più.
L’ordinanza
L’avrebbero fatto ancora, argomenta il gip del tribunale minorile Paola Mureddu nell’ordinanza per motivare le esigenze della custodia cautelare più severa, la collocazione in un penitenziario per minori a Bologna.
Bisognava fermarli prima che ne combinassero altre, magari facendo male sul serio alle vittime, e gli investigatori della Squadra mobile dorica, diretta dal vicequestore Carlo Pinto, ci sono riusciti in 72 giorni di indagini vecchio stampo: poco o nulla dalle immagini della videosorveglianza, pure utilissime in tante inchieste su reati da strada, niente intercettazioni, tanta osservazione sul territorio.
Gli indumenti
L’indagine è partita dalla descrizione di alcune caratteristiche somatiche (la pelle ambrata, una certa capigliatura) e dall’abbigliamento dei due scippatori, notati dalla studentessa assalita in largo Donatori del Sangue, che qualcosa aveva visto benché uno dei rapinatori gli avesse coperto gli occhi da dietro con le mani, e da alcuni testimoni.
In particolare era rimasto loro impresso un tipo di giubbetto, con un bavero vistoso, indossato da uno dei rapinatori. Tutte descrizioni che, se non bastavano per un vero e proprio identikit, sono servite però per inquadrare i possibili profili degli scippatori, diffusi nelle chat di Whatsapp utilissime a scambiarsi informazioni in tempo rapido tra poliziotti in servizio ul territorio, dalla Squadra mobile alle Volanti.
Così nel giro di qualche settimana i poliziotti sono riusciti a inquadrare due ragazzi, di 16 e 18 anni (compiuti qualche settimana dopo la rapina), che potevano corrispondere alle descrizioni di chi li aveva visti all’opera. Con il pretesto di un controllo a bordo di un bus di linea, dove i due ragazzi si divertivano a rompere le scatole ai passeggeri dall’ultima fila, sono stati portati in questura e fotosegnalati.
I loro volti sono stati così mostrati alla vittima e a un testimone - insieme ad altre facce di ragazzi immigrati che non c’entravano nulla - che non hanno avuto dubbi nel riconoscerli. Un elemento decisivo, ritenuto grave indizio di colpevolezza, che ha indotto il gip a firmare l’ordinanza nei confronti dei due ragazzi di origini nordafricane. Sono amici per la pelle, abitano un quartiere periferico di Ancona, iscritti a scuola ma spesso e volentieri in strada mattino e sera. Il più grande, maggiorenne dal dicembre scorso, non s’è tolto la maschera da bullo di quartiere neanche venerdì pomeriggio, quando i poliziotti della Squadra Mobile gli sono arrivati in casa con l’ordinanza di arresto per portarlo nel carcere minorile. Ma il loro arresto - che per una coincidenza è arrivato appena 24 ore da quello di un 17enne di origini nigeriane fermato dai carabinieri per una rapina commessa a settembre nei bagni pubblici di piazza Roma - contribuirà senz’altro a far cessare quel senso di impunità che spesso accompagna le azioni di baby gang.
Gli altri fascicoli
Potrebbe essere solo l’inizio, perché altre indagini sono in dirittura d’arrivo e solo quelle della Squadra mobile, hanno individuato una quarantina di ragazzi, minorenni o comunque under 20, come possibili autori di reati commessi ad Ancona.