Esalazioni di gas all’Api nel 2018, chiusa l'inchiesta: 18 indagati. «Diffusione ripetuta di inquinanti»

Esalazioni di gas all’Api nel 2018, chiusa l'inchiesta: 18 indagati. «Diffusione ripetuta di inquinanti»
Esalazioni di gas all’Api nel 2018, chiusa l'inchiesta: 18 indagati. «Diffusione ripetuta di inquinanti»
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Mercoledì 27 Luglio 2022, 05:55

FALCONARA Da una parte, le esalazioni moleste propagate nell’aria. Dall’altra, il rilascio di prodotti nocivi nel suolo e nel sottosuolo. In mezzo, le carenze strutturali degli impianti e manutenzioni ballerine per risparmiare e non fermare gli impianti.  Sono le contestazioni con cui si chiude l’inchiesta Oro Nero, quella che per quattro anni ha portato la Procura nel cuore della raffineria Api di Falconara


Le notifiche


Ieri i carabinieri del Noe - coordinati dal pm Irene Bilotta - hanno notificato 18 avvisi di conclusione delle indagini preliminari, l’atto con cui la Procura annuncia l’intenzione di chiedere un processo e assegna 20 giorni agli indagati per portare prove a discolpa o chiedere l’interrogatorio, per essere scagionati. I reati contestati, a vario titolo, sono: disastro ambientale, gestione illecita di rifiuti speciali, getto pericoloso di cose, lesioni colpose. Sott’accusa ci sono 17 tra dirigenti e tecnici dell’organigramma della raffineria falconarese, a partire dall’amministratore delegato Giancarlo Cogliati, scendendo per responsabili di settore e capireparto. L’unico esterno, tra i 18, è l’ex direttore generale dell’Agenzia regionale per l’Ambiente Marche, Giancarlo Marchetti, all’epoca al vertice di uno degli organi tecnici adibiti ai controlli sulle emissioni della raffineria. All’ex direttore Arpam la Procura contesta i reati (alcuni in concorso) di abuso d’ufficio, rivelazione di segreti d’ufficio e istigazione alla corruzione: avrebbe cercato in qualche modo di favorire la raffineria, preannunciando anche - questa una delle contestazioni - l’imminente ispezione dei tecnici all’interno dello stabilimento. «Sono sereno» diceva ieri Marchetti.


L’incidente 


L’indagine era nata dopo la miriade di denunce presentate dai cittadini falconaresi, nauseati dalle esalazioni moleste riconducibili all’incidente avvenuto la mattina dell’11 aprile del 2018.

In quell’occasione, si era verificata l’inclinazione del tetto galleggiante del serbatoio TK 61, una delle cisterne più grandi d’Europa, capace di contenere fino a 160mila metri cubi di petrolio greggio. C’era stata la fuoriuscita di gas idrocarburici, con propagazione di odori molesti. Si era corso, stando al Noe, anche il «rischio di esplosioni». Da quell’incidente la Procura si è mossa, attraverso consulenze tecniche (affidate all’ingegnere Gabriele Annovi) e intercettazioni, arrivando a contestare il disastro ambientale per lo «stato di deterioramento degli impianti e dalle gravi carenze riscontrate nell’ispezione e manutenzione di vari serbatoi». 


Le irregolarità 


Alle origini delle presunte irregolarità - tutte ancora da dimostrare - per il pm Bilotta ci sarebbe la volontà di risparmiare sugli ingenti costi per l’ispezione, la manutenzione e l’adeguamento degli impianti e di compromettere l’attività produttiva. Solo la bonifica di uno dei serbatoi monitorati avrebbe comportato un esborso pari ad oltre 2 milioni, lo smaltimento dei rifiuti liquidi costava 8 milioni annui. Illeciti sono stati contestati pure negli impianti di trattamento delle acque di scarico e della rete fognaria oleosa, nonché nella gestione dello smaltimento dei rifiuti. Alcune sostanze inquinanti sarebbero finite in mare. La compromissione della qualità dell’aria sarebbe stata provocata invece dalle ripetute emissioni in atmosfera di gas derivanti da lavorazione di idrocarburi. 

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