Via alle vaccinazioni, centinaia di nonnini in fila nel campo da calcetto: «Un passo verso la libertà»

La campagna di vaccinazione al campo Paolinelli
La campagna di vaccinazione al campo Paolinelli
di Stefano Rispoli
4 Minuti di Lettura
Domenica 21 Febbraio 2021, 06:10

ANCONA - Tutti in fila, già alle 7,15 del mattino, per essere sicuri di non mancare all’agognato appuntamento col vaccino. I nonnini aspettavano questo momento da un anno, da quando il virus si è insinuato nella vita degli italiani, condizionandola per sempre. Un’attesa spasmodica, da togliere il sonno. «Non ci ho dormito, ero troppo emozionata. Mia nipote mi ha chiamato per dirmi: Nonna, non farci fare brutte figure, non metterti a piangere», sorride la signora Elsa Formica, 91 anni. 

LEGGI ANCHE:

Vaccini, rapporto dell'Iss: «Più che dimezzati i contagi degli operatori sanitari dopo le dosi»


Sono le 9 ed è già pieno così nella tensostruttura del Paolinelli, alla Baraccola, pallone da calcetto trasformato in un ambulatorio con ritmi da catena di montaggio: in media, 45 iniezioni all’ora, saranno 480 alla fine della prima giornata di profilassi anti-Covid, cominciata molto presto, con l’arrivo (scortato) dei vaccini Pfizer scongelati e una dozzina di infermieri attorno a un tavolo, impegnati nel ripasso generale delle modalità di preparazione e somministrazione delle dosi, attese come oracoli. Quasi 14mila ne verranno iniettate agli over 80 da qui al 13 marzo, quando comincerà la seconda fase, quella dei richiami. 
Anziani in fila, con il numerino in mano, come al supermercato.

Il più fortunato è Massimo Gambini, 81 anni. Passerà alla storia come il primo anconetano ad essersi vaccinato contro il Coronavirus. «Appena hanno aperto le prenotazioni, alle 14,01 mia figlia si è collegata con il computer e ha fissato l’appuntamento - racconta -. Magari riuscissimo a vaccinarci tutti e subito. Io esco il meno possibile, vedo troppa libertà in giro. Dovevano chiudere tutto prima, ora non ci troveremmo in questa situazione».Sul podio delle prenotazioni-lampo spicca l’industriale Sergio Schiavoni, che esibisce il numero 3. «In un attimo si sono volatilizzate, mia moglie Gabriella ha trovato posto solo per mercoledì - spiega l’ex patron dell’Ancona calcio -. Non vedevo l’ora di vaccinarmi perché per lavoro sono sempre in viaggio e per quanto adotti le massime precauzioni, non sei mai tranquillo, anche se all’Imesa non si è verificato nemmeno un contagio. Ho iniziato a temere davvero il Covid quando ho parlato al telefono con Francesco Merloni che era ricoverato all’ospedale. Mi diceva che soffriva perché faticava a respirare: lì sì, ho avuto paura. Adesso sento solo parlare di economia in crisi: ma ai morti non ci pensa nessuno?». 


La sfilata dei nonnini è come una processione: accompagnati da figli e nipoti, misurano la temperatura, compilano i moduli, si siedono aspettando il proprio turno, poi vanno all’accettazione per l’anamnesi su malattie pregresse ed eventuali controindicazioni, quindi si sottopongono all’iniezione e si accomodano dall’altra parte del tendone per un quarto d’ora, il tempo di escludere possibili effetti collaterali. «La puntura è stata rapida e indolore - dice Maria Piccini, nonnina di Chiaravalle -. Paura? Molta, in tv se ne sentono di tutti i colori. È un incubo che finisce». Marisa Sparacciari, 91 anni, non stava nella pelle.

«Non sono uscita per 15 giorni perché se mi fossi ammalata non avrei potuto fare il vaccino - sospira -. Il Covid? Ne ho passate di peggio, sono sopravvissuta al bombardamento di Chiaravalle. Ma questo è un nemico diverso, forse peggiore: mentre in guerra si stava uniti in famiglia, questo virus ci ha isolati». La catena di montaggio, intanto, scorre senza intoppi. «In 10 minuti ho fatto - conferma Giorgio Mosca, 81 anni, amministratore di condomini falconarese -. Che sollievo, è stata una liberazione. Il problema è che in giro ci sono molti irresponsabili, non solo giovani». Ma la domanda fatidica è: il vaccino funzionerà? «Dicono di sì nel 95% dei casi, speriamo di non rientrare nel 5%» sorride Mario Giovanni Satta, una vita nella ristorazione. Il pensiero va agli ex colleghi: «Si lamentano tanto, ma li capisco: chi ha un locale non può campare nell’incertezza dei colori, la programmazione è tutto». Spunta Moreno Clementi, d.g. di Viva Servizi, con papà Franco e mamma Enrica sotto braccio. «Io e mia figlia ci siamo collegati con due pc per prenotare», rivela. «Mio figlio non ci fa uscire di casa, vado al supermercato di nascosto - sorride il signor Franco -. Sì, è il primo passo verso la libertà». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA