Ancona, untore e predatore di sesso
«Può fare ancora tante altre vittime»

I pc utiliizzati dall'untore
I pc utiliizzati dall'untore
di di Lorenzo Sconocchini
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Venerdì 15 Giugno 2018, 03:35 - Ultimo aggiornamento: 11:57

ANCONA - Claudio il negazionista, quello che “l’Aids è solo un’invenzione delle case farmaceutiche”, era così indifferente alla sua malattia, così privo di freni ai suoi istinti sessuali, che per fermarlo e impedirgli di contagiare altri partner con rapporti non protetti c’era solo il carcere. E bisognava anche fare in fretta, perché dalle intercettazioni telefoniche si capiva che il giovane di Agugliano aveva intuito che tirava una brutta aria e che l’ultima fidanzata, contagiata dall’Hiv, stava per denunciarlo. Per questo il 7 giugno, cinque giorni prima di essere arrestato, Claudio Pinti aveva contattato un esperto informatico chiedendogli se c’era la possibilità di recuperare messaggi da un telefono non in suo possesso.

 
Forse pensava di poter cancellare i tanti sms e messaggi in chat che s’era scambiato con la sua fidanzata dal 4 maggio, quando lei aveva scoperto dalla confidenza di una parente acquisita di Pinti che il suo boy friend era sieropositivo da 10-11 anni. Tra una contraddizione e l’altra, in quei messaggi, l’ex autotrasportatore diventato trader finanziario, finiva per ammettere che sapeva benissimo di essere una mina vagante, un untore capace di infettare i suoi partner con il virus dell’Hiv. 


L’ordinanza firmata dal gip Carlo Cimini, che dispone la custodia cautelare in carcere per Pinti, accoglie la richiesta d’arresto presentata dalla Procura in tempi record, riconoscendo sia la pericolosità sociale dell’indagato che il rischio di inquinamento delle prove. L’inchiesta era partita tre settimane fa, con la denuncia presentata alla Squadra Mobile di Ancona dall’ultima fiamma di Pinti, una donna di oltre 40 anni con cui il giovane si frequentava da fine gennaio. Già quattro giorni dopo l’ufficio del Gip aveva dato via libera alle intercettazioni telefoniche, che hanno confortato il racconto della vittima, ritenuta dal giudice Cimini super attendibile per la lucidità e la coerenza con cui ha esposto agli investigatori vicende per lei dolorosissime, entrando nel dettaglio senza mai contraddirsi. 
E proprio al telefono, parlando con un’amica tra il 29 e il 30 maggio, Pinti finisce per mettersi all’angolo con le sue stesse parole. Oltre a ripetere come un mantra le sue strampalate tesi negazioniste sull’Hiv, finisce per ammettere di aver voluto nascondere alla sua nuova fidanzata la sua malattia. 
Il quadro dei gravi indizi di colpevolezza si completa con i tanti screenshot e file audio e video dei messaggi che Pinti e la sua fidanzata s’erano scambiati dopo la scoperta choc della sua sieropositività. Lei il 4 maggio l’aveva convocato a casa sua per un chiarimento, dopo aver saputo da una persona dell’entourage della famiglia Pinti che il suo compagno era sieropositivo («me l’ha confidato la sua ex compagna prima di morire», le aveva scritto su messenger). «Ma come - l’aveva affrontato -, mi dici che prima di me hai avuto 227 partner e sei sieropositivo?».
Pinti, messo alle strette, aveva dovuto ammettere che 11 anni prima, in un test fatto per il lavoro, era risultato positivo all’Hiv. Poi però aveva provato a confonderla con le sue tesi negazioniste sull’Hiv, che l’avrebbe portato a non curarsi. Il trader aveva bluffato su altri test fatti tra Firenze e la Slovenia in cui la sua positività sarebbe regredita fino a scomparire. Lei l’aveva sfidato: «Andiamo a insieme a Torrette a fare un nuovo test». Lui s’era rifiutato, lasciandola nella disperazione. La settimana dopo, al reparto Malattie infettive degli Ospedali Riuniti, lei scopre di essere stata contagiata.
L’infezione, svelano le analisi, era stata acontratta nei sei mesi precedenti, un periodo in cui la giovane donna giura di aver avuto rapporti sessuali solo con Pinti, visto che la sua precedente relazione risaliva a due anni prima. Dal 4 maggio, tra i due ci sono solo contatti su Whatsapp, conversazioni in chat acquisite dalla Procura dopo la denuncia presentata dalla vittima tramite gli avvocati Mario e Alessandro Scaloni. E alcuni di quei messaggi contengono pressioni psicologiche affinché lei non si sottoponga a una terapia anti Hiv.
I siti di incontri
Tutto questo porta il gip Cimini a concludere che il racconto della vittima è genuino, anche nella parte in cui esclude di aver contratto il virus in altri rapporti. Per questo il giudice, condividendo le richieste della Procura, ritiene provato il nesso di causalità tra la condotta dell’indagato, il suo stato di sieropositività e il contagio ai danni della nuova fidanzata. Il reato contestato è quello di lesioni personali volontarie gravissime, quanto meno con dolo eventuale, perché non avvertendo la partner del pericolo e non adottando precauzioni l’ha contagiata ben sapendo che ciò poteva accadere. E come l’ha fatto con lei, ragiona il giudice preliminare, potrebbe farlo con tanti altri. Un rischio, quello di reiterazione degli stessi reati, che nell’ordinanza viene definito altissimo, sia per condotta dell’indagato, del tutto indifferente alla malattia di cui soffre, sia per l’iperattivismo dimostrato nel cercare partner per rapporti non protetti, visto che alla fidanzata aveva confidato di aver avuto 227 partner prima di lei. Solo vanterie da latin lover? In realtà dagli accertamenti su computer e telefonini sequestrati a Pinti sono emerse tracce delle sue frequentazioni, con il nickname onlysex82@hotmail.com, di siti di incontri come la sex community Desiderya. E anche negli ultimissimi giorni prima dell’arresto, il trader cercava rapporti sessuali di vario genere e si offriva con annunci sul sito bakeka.it.

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