L’ottavo uomo della Lanterna Azzurra sorrideva ricordando i tempi dello spray

L’ottavo uomo della Lanterna Azzurra sorrideva ricordando i tempi dello spray
L’ottavo uomo della Lanterna Azzurra sorrideva ricordando i tempi dello spray
di Lorenzo Sconocchini
4 Minuti di Lettura
Martedì 18 Gennaio 2022, 04:30 - Ultimo aggiornamento: 16:49

ANCONA  - Sorrideva l’ottavo uomo della Lanterna Azzurra, neanche sei mesi dopo la strage di Corinaldo, quando ricordava un altro raid compiuto intossicando ragazzini con lo spray urticante per strappargli collanine d’oro, quello del 24 novembre 2018 nella discoteca Liv di Bassano del Grappa.

«Lì però abbiamo dovuto dare lo spray, però ora il gas non te lo puoi più portare», sembrava rammaricarsi Riccardo Marchi parlando in auto con Andrea Cavallari e Moez Akari, spiati dalle cimici piazzate dai carabinieri del Reparto operativo di Ancona. E mentre allude al dopo Corinaldo, quando la banda non ha più usato bombolette spray per paura di essere scoperta, il giovane bolognese “sorride”, come annota nel brogliaccio il detective dell’Arma addetto alle trascrizioni.


Era il 24 aprile del 2019 e dieci settimane dopo sei bad boys della banda dello spray, tutti ragazzi della Bassa Modenese, tre italiani e tre di origine magrebina, verranno arrestati per aver innescato il fuggi fuggi incontrollato che la notte tra il 7 e l’8 dicembre 2018 provocò sei morti per asfissia nella calca all’uscita 3 della discoteca Lanterna Azzurra.

Tutti tranne due del commando: Eros A., morto in un incidente stradale nella primavera successiva alla strage, e appunto - secondo il supplemento d’indagine arrivato di recente al capolinea - Riccardo Marchi, bolognese, 24 anni da compiere il prossimo maggio. 


Quando la Procura chiese le misure cautelari, poi concesse dal gip Carlo Cimini il 2 agosto di tre anni fa, il ruolo di Marchi non era stato ancora messo a fuoco con nitidezza e non c’erano riscontri univoci sulla sua presenza alla Lanterna Azzurra. Solo l’anno scorso, dopo aver raccolto altri elementi a suo carico, i pm Paolo Gubinelli e Valentina Bavai hanno chiesto il processo anche per Marchi e l’11 aprile si terrà l’udienza preliminare. Tra gli elementi che per la Procura confermano la presenza del ragazzo bolognese sulla scena della tragedia, c’è la testimonianza di un giovane universitario che faceva da autista alla banda ed era anche lui a Corinaldo quella notte.

Non ebbe un ruolo in quanto accadde all’interno della discoteca, ma era al volante di una terza auto sulla quale viaggiava, insieme a un altro giovane, anche Souaib Haddada, uno dei sei arrestati. L’autista ha raccontato che Marchi era a Corinaldo, nell’auto di Cavallari, dove c’era anche Akari. E così adesso il ragazzo bolognese è imputato degli stessi reati contestati ai sei della banda già condannati in primo grado (omicidio preterintenzionale plurimo, rapine e furti, lesioni personali ai danni di oltre 200 persone) tranne l’associazione per delinquere. 


Evidentemente per la Procura Riccardo Marchi non è ritenuto un componente in pianta stabile della banda a geometria variabile accusata di aver commesso decine di rapine nelle discoteche di mezza Italia, prima e dopo la notte di Corinaldo. Ma il suo nome non compare una tantum nell’inchiesta sui fatti della Lanterna Azzurra. Era nel commando di tre rapinatori, sempre con Cavallari e Akari, che la notte del 14 ottobre 2018 venne fermato dai carabinieri di Fabriano. Akari aveva un sacchetto con sette collanine d’oro danneggiate dallo strappo. Almeno due, si scoprirà poi, erano state scippate poche ore prima nella discoteca “Area” di Fabriano. Non c’erano però le condizioni per l’arresto in flagranza: Akari venne denunciato per ricettazione e se ne tornò in Emilia con i complici. 
Ma proprio quel precedente di Fabriano, ripescato dagli archivi dell’Arma, diede agli investigatori l’intuizione giusta per arrivare alla banda che aveva scatenato l’inferno della Lanterna Azzurra spruzzando spray. Si partì dall’analisi dei tabulati, ma mentre le utenze telefoniche in uso a Cavallari e Akar la notte del 7-8 dicembre 2018 agganciavano la cella di Corinaldo, quella di Riccardo Marchi restava ancorata tra le province di Modena e Bologna. Solo che tra le 20 e 41 del 7 dicembre e le 10 e 22 dell’8 dicembre lo smartphone di Marchi era rimasto silente, niente traffico telefonico. 


Il telefonino silenzioso
Probabilmente il giovane, se è vero che era a Corinaldo, aveva usato l’accortezza di non portarsi dietro il cellulare, schivando così l’arresto. Marchi, tuttora a piede libero, sembrava destinato a rimanere nel lato B dell’inchiesta, quella sugli oltre 70 episodi di presunti colpi commessi dalla banda in discoteche di mezza Italia, di cui da tre anni si stanno occupando diverse Procure, soprattutto del Nord, con una ventina di indagati. Ma in realtà i carabinieri del Nucleo investigativo avevano continuato a lavorare sotto traccia su Marchi, denunciato già nel novembre 2019. Poi, il colpo di coda della Procura di Ancona, con la richiesta di processare anche lui per i morti di Corinaldo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA