Minacciata per farla tacere dopo lo stupro: «So dove sono le bambine»

Minacciata per farla tacere dopo lo stupro: «So dove sono le bambine»
Minacciata per farla tacere dopo lo stupro: «So dove sono le bambine»
di Lorenzo Sconocchini
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Sabato 5 Febbraio 2022, 03:45

ANCONA - «Sotto il profilo della credibilità non emerge allo stato degli atti alcun elemento che possa anche solamente a livello dubitativo far ipotizzare un intento calunnioso». Non ha la minima riserva, il giudice per le indagini preliminari Claudio Bonifazi, nel certificare la genuinità del racconto della vittima. Del resto il referto del pronto soccorso di Torrette, dove la giovane commessa è stata visitata con i rigorosi protocolli del Codice Rosso, confortano in pieno la versione della vittima, attentando non solo i segni lasciati nelle parti intime da un rapporto sessuale traumatico, ma anche tumefazioni nella regione sottoscapolare compatibili con il trascinamento di cui parla la donna raccontando quanto sarebbe avvenuto in casa di Osvaldo Iannuzzi.

Versione coerente

E la sua versione descritta nei verbali della Squadra mobile di Ancona, diretta dal vicequestore Carlo Pinto, sono del tutto coerenti con i racconti fatti ad alcuni conoscenti nell’immediatezza del fatto. Il quadro indiziario - che ovviamente dovrà essere riscontrato nelle opportune sedi giudiziarie - per ora ha convinto il gip ad accogliere le richieste di custodia cautelare in carcere sollecitate dalla pm della Procura di Macerata Rosanna Buccini. Visti i gravi indizi di colpevolezza, per il giudice Bonifazi, le esigenze cautelari sono motivate sia dalla pericolosità sociale degli indagati Osvaldo Iannuzzi e Giuseppe Padalino, sia dal rischio che restando in libertà possano inquinare le prove o indurre la vittima a ritrattare, come hanno già tentato di fare. Nell’ordinanza si sottolinea la «totale spregiudicatezza» di individui «dotati di una personalità spiccatamente incline alla commissione reati con violenza alla persona», sintomo di «un elevato grado di pericolosità sociale specifica, riferibile alla concreta e attuale probabilità che gli stessi, in mancanza di deterrente cautelare, pongano in essere delitti della medesima specie».
Il pericolo di inquinamento delle prove, secondo il giudice, emerge dalla condotta degli indagati, sin dai minuti successivi allo stupro. «Mi raccomando sta zitta, fatti i c... tuoi, so dove abiti, dove lavori e dove vanno a scuola le bambine», le avrebbe detto Osvaldo Iannuzzi, stando alla denuncia della vittima. E poco più tardi, in cucina, l’insegnante di sostegno, originario di Napoli ma da tempo residente a Porto Recanati, avrebbe mostrato alla commessa un coltello estratto un cassetto brandendolo. «Alle donne che non stanno zitte ci penso io con questo, le ho tutte appese nell’appartamento di fronte», avrebbe sibilato all’indirizzo della trentenne appena stuprata. 
Poi, nei mesi successivi, sia Osvaldo Iannuzzi che Giuseppe Padalino (entrambi riconosciuti dalla persona offesa nell’identificazione fotografica alla questura di Ancona) si sarebbero fatti vivi con la commessa sia tramite messaggi e contatti sui social, acquisiti agli atti dell’inchiesta, sia facendosi vedere nel negozio dove la donna lavora.

Iannuzzi avrebbe sondato il terreno con abboccamenti. Come stai?, buongiorno, buonanotte. In un’occasione le avrebbe proposto un aperitivo, invito ovviamente respinto. Padalino invece, temendo di essere coinvolto in denuncia, l’avrebbe avvicinata più volte per prendere le distanze dal professor Iannuzzi, definito «pezzo di m...». «Comportamenti oggettivamente idonei - secondo il gip - ad indurre una pressione psicologica nella parte offesa».

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