Ancona, stalking e maltrattamenti:
arrestato in Slovenia e condannato

Ancona, stalking e maltrattamenti: arrestato in Slovenia e condannato
di Federica Serfilippi
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Mercoledì 22 Maggio 2019, 07:35
ANCONA - In tre mesi è stato arrestato, estradato e processato. È terminato ieri il procedimento per Mirco Bracaccini, il 58enne anconetano accusato dalla procura di stalking e maltrattamenti riservati alla donna che è ormai la sua ex compagna, una senigalliese di 43 anni. Dopo un’istruttoria lampo, il giudice Elisa Matricardi lo ha condannato a scontare 5 anni e 4 mesi di reclusione. Alla vittima, parte civile attraverso l’avvocato Alessandro Calogiuri, andrà una provvisionale di 30 mila euro. Bracaccini, attualmente recluso a Montacuto, ha partecipato al processo dopo l’arresto avvenuto lo scorso febbraio in Slovenia.
  
Ad eseguirlo, sulla base di un mandato di cattura europeo legato alla misura cautelare del carcere stabilita dal gip per il procedimento terminato ieri, erano stati agli agenti della Squadra mobile. Prima della camera di consiglio, l’imputato ha rilasciato dichiarazioni spontanee. Tra gli episodi su cui si è soffermato, quello ricordato la scorsa udienza dalla vittima e avvenuto nel luglio 2018. La donna aveva sostenuto come il 59enne, mentre i due erano in auto, le avesse stretto una corda attorno al collo con l’intenzione di strangolarla. «È un fatto che non è mai avvenuto – ha detto Bracaccini -. Si tratta di un’accusa assurda, come lo è quella dello stalking. Quando stavamo insieme, non l’ho mai vista chiedere aiuto a qualcuno. E quando è andata in una struttura protetta, è stata lei a cercarmi. Ci sono messaggi e videochiamate tra me e lei. Diceva che mi amava». Il 58enne, difeso dall’avvocato Andrea Bordoni, ha anche ripercorso il trasferimento in Slovenia, deciso dopo le minacce ricevute da alcune persone che pretendevano di sapere dove fosse la sua ex per una presunta questione economica lasciata in sospeso: «Se non mi volevo far trovare, non facevo un reality show, mostrando a tutti il mio nome». Il pm, durante la requisitoria, ha giudicato la versione dei fatti data dalla vittima credibile. «Una volta – aveva detto la 44enne in riferimento all’imputato - mi ha buttato l’alcool addosso, cercando di darmi fuoco. Un’altra, mentre eravamo in auto, ha tirato fuori un cappio e me lo ha stretto attorno al collo. Perché sono rimasta con lui? Avevo paura che facesse male ai miei figli. Diceva che li avrebbe fatti soffrire». Da parte della difesa sicuro il ricorso in appello.
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