ANCONA - La cosa più inquietante è che quelle carte svolazzavano da una mano all’altra in modo sorprendentemente leggiadro. Soldi spostati a destra e a manca, firme qua, firme là: possibile che nessuno sapesse o monitorasse l’operato del geometra infedele o avesse un dubbio sulla sua condotta? Eppure, ci sono gli autografi di dirigenti e funzionari in calce alle delibere che, da solo, non poteva approvare Simone Bonci, il 46enne anconetano in carcere con l’accusa di corruzione.
Sulla presunta carenza di controlli a monte che la magistratura continua a indagare, sospettando responsabilità di altri soggetti preposti all’Amministrazione, ma anche condotte illecite nel conferimento di servizi e consulenze a professionisti esterni al Comune che riguarderebbero 4 assessorati. È proprio per il deficit di controlli che, forse, Bonci si sentiva un boss negli uffici del Servizio Manutenzioni. Era così sicuro da sorridere con un collega sui rischi di una delibera per 36mila euro di lavori aggiuntivi ordinati al cimitero del Pinocchio, dove «si possono inventare che si è spaccata una fogna» in modo da favorire l’amico imprenditore che, in cambio, si era impegnato a fargli fare un bagno extra lusso in casa, costato agli anconetani 32mila euro. «Il genietto ha mandato via la determina», sogghignava del Rup in questione a proposito dei lavori al cimitero.
«Lo scemo l’ha mandata via ieri», ribadiva a fine maggio, rassicurando Tarcisio Molini (uno dei 4 imprenditori arrestati nell’ambito dell’inchiesta Ghost Jobs che coinvolge 30 indagati) sull’imminente liquidazione delle fatture per circa 65mila euro di valori commissionati alla Mafalda Costruzioni, ma che per gli inquirenti ne valevano appena 2mila: al cimitero di Candia, ad esempio, coprire 50 mq di buche è costato alla collettività 17mila euro, quasi 323 euro a mq di asfalto a freddo. Bonci, si apprende dalle 136 pagine dell’ordinanza del gip, esercitava anche una certa influenza sull’area contabilità: diceva di poter «stridere» in Ragioneria per accelerare la liquidazione di certe fatture e «far viaggiare i soldi più veloci». Per gli inquirenti, li prendeva da certi appalti e li dirottava su altri, senza bisogno di atti amministrativi, per arricchire se stesso (regalie come telecamere, cellulari, droni, un portone blindato) e favorire il cerchio magico dei 4 imprenditori-amici arrestati, Tarcisio Molini, Marco Duca, Carlo Palumbi e Francesco Tittarelli, che domani sono attesi dal gip Sonia Piermartini per gli interrogatori. Giudice che, nella corposa ordinanza, imputa a Bonci di aver tentato di aggiustare le carte, eliminando o inquinando le prove, nel momento in cui ha saputo di essere coinvolto nell’indagine per corruzione, motivo per cui è stata disposta la misura cautelare del carcere. È il 23 settembre quando il geometra si adopera subito nel contattare gli imprenditori indagati per incontrarli di persona, fuori dagli uffici comunali «all’evidente fine di cancellare le prove» scrive il gip. Nemmeno un’ora dopo aver preso visione dell’atto giudiziario, contatta Molini per parlargli de visu: «Vieni a casa mia, ti aspetto». Idem con Palumbi, che però rifiuta l’invito. Sospettando che le indagini riguardino un appalto inesistente conferito a Duca per la realizzazione di un cordolo per la rampa disabili alle piscine del Passetto, il geometra il 1° ottobre contatta la ditta dello stesso Duca nel tentativo - secondo l’accusa - di convincere la segretaria a redigere una nota di credito da 4800 euro per un lavoro che «non è stato più fatto», ma era stato liquidato a maggio in cambio, secondo gli investigatori, di una telecamera, un drone e uno smartphone di ultima generazione.
Bonci, preoccupato, le dice che anche i lavori fatti da Molini al Passetto erano stati liquidati con fondi del parcheggio Traiano che «non c’entra un ca...o neanche con i cimiteri». E afferma: «Lavori non fatti al cimitero... quello è il problema». Già, un bel guaio. «Ah, quindi falsi», intuisce la collega. E lui: «Però non ho firmato niente» e scarica le responsabilità al Rup. Da allora, secondo il gip, Bonci «ha adottato un atteggiamento più cauto», ma lo tsunami giudiziario era scoppiato per la condotta illecita: «Io funzionario voglio ricavare X dall’appalto conferito, dimmi tu imprenditore quando vuoi che aggiunga a X per concludere l’accordo con soddisfazione reciproca».
Meccanismo che appare lampante quando, a luglio, Bonci in un colloquio con Molini, a fronte di un incarico da 6mila euro, calcola l’utile per sé di 2mila euro, con un rapporto di uno a tre: «Quindi è sei? Tre volte tanto». Poi: «Tu mi devi dire quanto ti serve di non lavori in maniera che il mio utile sia questo». Accordi sui non-lavori: per il gip, «un alto tradimento alla funzione e al servizio pubblico, piegati al più vile tornaconto personale» di un dipendente comunale che concordava «caffè e cappuccini», «fresche, freschelle e freschine» con i soliti imprenditori.
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