Caffè al bar, pranzo al ristorante e un drink al tavolo: torna la zona gialla, Ancona ricomincia a vivere

Sara Ambrosio, titolare del ristorante Amarcord
Sara Ambrosio, titolare del ristorante Amarcord
di Stefano Rispoli
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Martedì 2 Febbraio 2021, 04:00

ANCONA Bentornato giallo, colore della (quasi) normalità, con tutte le vecchie e care abitudini ritrovate: il caffè al bar, la “pastarella” al bancone, lo spaghetto al ristorante. Un lento ritorno alla vita. Lento perché il primo lunedì non arancione non ha fatto registrare un vero e proprio assalto ai locali, anche se per i ristoratori va più che bene come ripartenza. Nel gioco delle differenze, vince nettamente piazza del Papa. Il vuoto siderale del regno della movida è stato almeno in parte colmato dai dehors di AnBurger con i giovani seduti al tavolo a mangiare un panino: sembra di sognare. 

 
«Noi non ci siamo fermati mai, asporto e domicilio hanno funzionato abbastanza bene - dice il titolare, Mauro Ugolini -. Un po’ di gente è venuta a trovarci, come primo giorno giallo non c’è male: almeno abbiamo ravvivato una piazza che è morta da mesi. La sensazione è che non dureremo a lungo: non sono ottimista sul futuro della pandemia». Impossibile fare previsioni, ma lo spauracchio generale è proprio questo: quanto resteremo in fascia gialla? «Non voglio neanche pensarci, se ci fanno chiudere di nuovo molti locali moriranno - sostiene Corrado Bilò della trattoria La Moretta -. Noi chiediamo solo di tornare alla normalità, di poter lavorare anche la sera, non solo a pranzo, Invece, veniamo trattati come untori, come se il Covid si diffondesse nei ristoranti. Il vero problema non siamo noi, che curiamo i minimi dettagli e siamo attenti su tutto, ma gli assembramenti in strada, lungo il corso, nelle piazze. Ora riapriamo con entusiasmo, anche se mi sembra una stupidaggine averci fatto ricominciare di lunedì, saltando l’ennesimo weekend, come se volessero farci un torto». Il giallo è il colore del risveglio. Ancora timido, perché lo smart working svuota gli uffici e tiene a casa masse di lavoratori. Ma nell’aria si avverte voglia di cambiamento. 
Alla Degosteria di via Pizzecolli non c’è il boom, ma un discreto giro di clienti. «Le ordinazioni hanno ripreso un buon ritmo, voglio mandare un messaggio positivo: noi ci siamo e aspettiamo solo che finisca questo incubo - dice Danilo Sancillo, uno dei soci -.

Qui è un anno che si lotta, ormai siamo abituati a vivere alla giornata. Bisogna dare il massimo e farci trovare pronti». Ma intanto certe immagini scaldano il cuore. Samuele e Caterina addentano una margherita fuori dalla Pizzeria del Papa, in corso Mazzini. «Vivo ad Agugliano - dice lui -, non vedevo l’ora di poter pranzare fuori con la mia amica. Anche la pizza mi sembra più buona». Il Covid cancella i sapori, ma non la voglia di normalità, anche se per l’aperitivo serale ci vorrà ancora tempo. «Per questo ci siamo inventati le drink box per cocktail da miscelare in casa - dice Andrea Governatori del Bar Torino -. Il problema è che la gente è confusa, non ci si capisce più nulla con questi cambi di colore: speriamo solo che ci sia buonsenso da parte delle persone, altrimenti è un attimo tornare arancioni». Al Bar Giuliani temono il giallo rafforzato nel weekend. «Significherebbe ucciderci - sospira Natascia Campanella -. Da sempre si lavora soprattutto nel fine settimana. Non è un lunedì giallo che fa la differenza: anzi, abbiamo visto pochi clienti e zero prenotazioni per pranzo. Speriamo che riparta un buon giro nei prossimi giorni e che gradualmente si possa tornare a lavorare fino al coprifuoco delle 22». Sì perché non di solo asporto vivono i bar. Anzi. «Un locale lo metti in piedi per attirare persone, non per allontanarle - dice Fabio Guiotto del Bagolo -. Troppo pesante la zona arancione: adesso sì che si può dire di essere tornati a lavorare. Certo, la gente ancora non si capacita che può tornare a prendere un caffè al bancone: c’è chi chiede se può entrare, se può uscire, se può pagare...» Chi può sorridere davvero è Sara Ambrosio: il suo Amarcord si affaccia sul porto. Lì sotto i locali non si sono mai fermati. «E invece noi non abbiamo potuto lavorare - spiega - ma non ce l’ho con i colleghi, ci mancherebbe altro. Il problema è a monte: le autorità avrebbero dovuto regolamentare meglio l’ingresso al porto per evitare problemi: sì, per noi è stata una beffa». 

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