Ragazzini e anziani assediati dal Covid: sempre più numerosi i casi di tentati suicidi. Ecco cosa sta succedendo

Ragazzini e anziani assediati dal Covid: sempre più numerosi i casi di tentati suicidi. Ecco cosa sta succedendo
Ragazzini e anziani assediati dal Covid: sempre più numerosi i casi di tentati suicidi. Ecco cosa sta succedendo
di Federica Serfilippi
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Domenica 18 Aprile 2021, 07:58 - Ultimo aggiornamento: 16:37

ANCONA  - «I tragici fatti di cronaca che accadono ti mettono nella condizioni di interrogarti se era possibile fare qualcosa per evitarli. Non è possibile prevedere i crimini. In tutta la medicina, l’unica misura preventiva è quella vaccinale: per la psichiatria non c’è cura a priori. Ma si può investire sulla prevenzione, a livello sociale ed economico, favorendo l’accesso agli ambulatori territoriali e aumentando le risorse. L’emergenza Covid? Ci ha messo in grande difficoltà. In alcuni casi ci siamo trovati nella situazione di non poter utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione». Pensieri e parole della dottoressa Francesca Bozzi, psichiatra del Csm di Ancona e perito del tribunale. 

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Negli ultimi nove mesi, la nostra provincia è stata travolta da tre omicidi (il delitto di via Saveri, a Jesi, l’agguato in via Maggini, ad Ancona, la sparatoria a Roncitelli) che hanno coinvolto soggetti già noti ai servizi sanitari. Partendo dal dato che paziente psichiatrico non coincida con la parola crimine, viene da chiedersi cosa poter fare per non arrivare a un punto di non ritorno. Una risposta è «la prevenzione. Per farla bisogna implementare le risorse di chi sta in prima linea, aumentando anche i supporti territoriali (come il Csm, ndr) strutture spesso collegate ai medici di base e a cui si rivolgono persone non necessariamente con disturbo conclamato». Altro tassello è l’alleanza con la famiglia del soggetto: «L’intervento medico si basa sul consenso del trattamento e sul ruolo fondamentale dei familiari. La questione mai completamente risolta è che in psichiatria non c’è sempre una piena consapevolezza della malattia e su questo incide anche la mancanza di collaborazione del paziente e/o della famiglia». 

La pandemia rischia tuttora di far scemare i controlli su possibili mine vaganti. «Il Covid ci ha messo in difficoltà.

Nella prima fase avevamo la necessità di inserire i pazienti nelle comunità sulla base di un decreto del giudice, procedure univoche che potessero tutelare gli utenti ed il numero dei posti è divenuto insufficiente per la presenza di focolai. Al Csm ci siamo organizzati estendendo il servizio di apertura a causa dei maggiori accessi, dovuti anche a soggetti non noti. Nella prima ondata c’è stato un incremento dei tentativi di suicidio tra anziani, soprattutto legati al timore di dover morire soli». Con la seconda è toccato «ai giovanissimi che tra dad e quarantene hanno visto stravolgere i loro ritmi, e a chi ha manifestato disagi per la situazione economica e lavorativa.

Paradossalmente, almeno all’inizio, la gestione è stata più facile per soggetti schizofrenici: riducendo l’ansia legata alle interazioni sociali, la situazione di chiusura ha dato beneficio. Poi, sono insorti fenomeni sull’uso della mascherina: alcuni hanno mostrato idee complottistiche e il dispositivo è stato visto anche come simbolo dell’invasione aliena». C’è stato poi il problema della chiusura dei centri diurni («non potevamo garantire le dovute distanze e la sicurezza dei pazienti») con relative ricadute sulle famiglie «che molto spesso si sono trovate impreparate. In tanti casi abbiamo visto dei passi indietro rispetto a quello che si era conquistato duramente». Una mano l’ha data la telemedicina. «Un legame saldo tra paziente, servizi e famiglia ha permesso di intervenire, un rapporto non così solido ha creato problemi maggiori» e situazioni difficilmente gestibili: «l’aumento del disagio associato a risorse scarse comporta che spesso non riusciamo a stare dietro a tutte le segnalazioni con la necessaria tempestività». 

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