Ragazzina denuncia nel tema il matrimonio combinato: «Ho 16 anni, non voglio sposare un estraneo». Ora è in una comunità protetta

L’immagine choc di una campagna contro il fenomeno delle spose bambine
L’immagine choc di una campagna contro il fenomeno delle spose bambine
di Federica Serfilippi
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Domenica 20 Giugno 2021, 07:05 - Ultimo aggiornamento: 21 Giugno, 09:44

ANCONA  - Il suo destino sembrava segnato: conclusa la cerimonia per il fidanzamento ufficiale con un ragazzo semi-sconosciuto, il prossimo passo doveva essere il matrimonio. Una vita coniugale che l’avrebbe portata a dire probabilmente addio alla scuola, agli amici e a tutte quelle abitudini che sanciscono il passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

A impedire il connubio è stata la stessa promessa sposa: una ragazza 16enne di origine nordafricana che, attraverso il contesto scolastico, ha messo in atto un gesto di “ribellione”, andando contro le volontà della sua famiglia e della comunità di appartenenza, denunciando quella relazione stretta a forza. 


Ha rifiutato il matrimonio e l’idea di dover passare il resto della vita con una persona (poco più grande di lei) vista una manciata di volte, innescando un iter procedurale che ha coinvolto il Tribunale dei Minori, i Servizi Sociali e la questura. Padre e madre, di religione islamica, hanno perso la responsabilità genitoriale. Lei, per la sua tutela e sicurezza, è stata trasferita in una comunità protetta. La storia non viene da lontano, ma dall’area di Ancona. E chissà se nella decisione coraggiosa della ragazzina, in qualche modo abbia influito la storia, magari sentita in tv, di Saman Abbas, la 18enne pakistana che a Novellara (Reggio Emilia) ha cercato di scampare al matrimonio da contrarre nella sua terra d’origine e a cui l’aveva costretta la famiglia. La ragazzina, dopo un periodo passato in comunità, risulta scomparsa dalla fine di aprile. Il suo caso ha scoperchiato a livello nazionale un vaso di Pandora di un mondo – quello dei matrimoni forzati - che forse si credeva distante, ma che in effetti tanto lontano poi non è. Lo fa comprendere il grido d’aiuto della 16enne nordafricana di cui si stanno occupando i magistrati e gli assistenti sociali del palazzo di giustizia minorile di via Cavorchie. 


Un grido d’aiuto che ha portato finora alla soluzione più incisiva: l’allontanamento – almeno per ora – della minore dalla casa familiare e la collocazione in una struttura protetta, con percorsi di sostegno per affrontare un contesto nuovo e non certo semplice.

Tutto è nato a scuola, uno dei maggiori filtri dove i ragazzi tendono a fare emergere situazioni di disagio. È in un elaborato scritto che di suo pugno la ragazza avrebbe fatto riferimento in maniera esplicita al suo tormento, raccontando di quel futuro matrimonio di cui lei non ne voleva proprio sapere. Uno sposalizio che, stando a quanto emerso, le sarebbe stato indotto dalla famiglia (numerosa e non da moltissimi anni residente in Italia), così come il fidanzamento, già celebrato con una festa, con il futuro coniuge, un connazionale non residente nella città della 16enne e conosciuto a malapena. 


Le paure insite nella ragazza sarebbero state quelle di dover abbandonare la scuola, i percorso fatto fino a quel momento e il suo cerchio di amicizie, dentro al quale si era ben integrata. Con la lettura del tema da parte dei professori, si è attivata la procedura classica: la segnalazione del caso alla procura del Tribunale dei Minori, l’affidamento del fascicolo a un giudice, la chiamata in causa dei Servizi Sociali e le decisioni più adatte per mettere anzitutto in sicurezza la studentessa. Con un provvedimento d’urgenza è stata collocata in una comunità, al padre e alla madre è stato notificato il documento che suggella il decadimento temporaneo della responsabilità genitoriale. La minore dovrà ora essere seguita da un tutore nominato dal tribunale competente. 

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