ANCONA - In poco più di un anno avrebbe intascato attorno ai 100mila euro, soldi derivati dalle mensilità di affitto e dalla registrazione dei contratti per le case popolari. Se li sarebbe tenuti per sé, anziché versarli nelle casse dell’Erap, ente per cui lavorava. Dopo aver saldato il conto con la giustizia erariale nel 2017, l’ex dipendente, un 58enne originario di Milano, ieri mattina ha concluso in primo grado anche l’iter penale.
Il gup Francesca De Palma ha infatti condannato l’uomo a scontare tre anni di reclusione per i reati di peculato e falso ideologico. Assolto perché il fatto non sussiste dall’accusa di accesso abusivo al sistema informatico dell’Erap.
La sentenza è stata emessa dopo la decisione della difesa, rappresentata dagli avvocati Eleonora Tagliabue e Francesco Nucera, di procedere con il rito abbreviato. A seguito del procedimento, l’imputato è stato licenziato dall’Erap. A spingerlo verso l’illecito contestato sarebbe stato il vizio del gioco. A far partire tutto, nel 2016, sono state le richieste di morosità che arrivavano ai cittadini da parte dell’Erap e che si sono poi rivolti all’ente dimostrando, almeno quello credevano, di aver pagato i canoni degli affitti versati tra maggio 2014 e luglio 2015. In teoria, i beneficiari degli alloggi popolari dovevano pagare il canone versando una cifra tramite bollettino postale. Stando alla procura, l’ex dipendente, invece, con la scusa di far risparmiare tempo agli inquilini avrebbe mandato i suoi più stretti collaboratori, del tutto estranei ai fatti contestati dalla procura, a ritirare le somme dovute direttamente negli appartamenti sotto controllo dell’Erap.
Una volta versata la quota, l’inquilino riceveva un pezzo di carta che veniva presentato come una sorta di pro forma di ricevuta.
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