«La pittrice uccisa da padre e figlio». Delitto Rapposelli: chiesti 24 anni per Giuseppe e l'ergastolo per Simone

Renata Rapposelli
Renata Rapposelli
di Federica Serfilippi
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Venerdì 4 Settembre 2020, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 20:07

ANCONA - Ergastolo per Simone, 24 anni per il padre Giuseppe Santoleri. Sono queste le richieste di condanna avanzate ieri dal pm teramano Enrica Medori per i due imputati accusati di aver ucciso e occultato il cadavere di Renata Rapposelli, pittrice 64enne scomparsa da Ancona il 9 ottobre 2017 e ritrovata senza vita un mese dopo in una scarpata della contrada Pianarucci, Tolentino.


 
Le richieste sono arrivate dopo una requisitoria lunga e complessa, nel corso della quale il pm ha ripercorso le tappe di un’inchiesta che ha unito due regioni (Marche e Abruzzo) e tre procure (Ancona, Teramo e Macerata). Dei due imputati (entrambi di Gulianova e in carcere da marzo 2018), in aula c’era solo il 70enne Giuseppe, ex marito di Reny. La presenza del figlio Giuseppe, 46 anni, è prevista per l’udienza di oggi, quando verrà data la parola alle difese. Il 21 settembre la sentenza. Simone ha sempre respinto ogni accusa. Così come il padre. Durante la scorsa udienza, gli avvocati del 46enne avevano mostrato alla Corte d’Assise due foglietti scritti in stampatello e ritrovati nella casa di Giulianova in cui Giuseppe si sarebbe autoaccusato dell’omicidio. Autentici o no?

Sta di fatto che, considerando la differenza delle pene richieste, la procura ipotizza come sia stato Santoleri figlio ad avere un ruolo primario nell’uccisione di Reny e del disfacimento del corpo. Le indagini erano scattate quando un amico di Renata aveva allertato i carabinieri perché di lei sembrava non esserci più traccia. Gli aveva detto che sarebbe partita il 9 ottobre della stazione di Ancona - viveva in un alloggio concesso dal Comune in via della Pescheria - per andare a trovare a Giulianova il figlio Simone, nel piccolo appartamento che condivideva con Giuseppe.

L’allarme per la scomparsa di Reny era stato lanciato successivamente anche dai due imputati, riferendo che sì la pittrice era arrivata a Giulianova, ma che poi aveva affrontato il viaggio di ritorno con l’ex marito, a bordo di una Fiat 600 bianca. «L’ho lasciata lungo la salita che porta a Loreto» la versione del 70enne.
Per la procura, sono stati loro, spinti da motivi economici (nella casa di Giulianova ci sarebbe stato un acceso litigio legato ai soldi del mantenimento), a uccidere Reny e a portare il corpo fino a Tolentino. «Simone - scriveva la procura nella richiesta di giudizio immediato - la afferrava al collo stringendo con violenza, contestualmente tappandole la bocca impedendole di respirare e trascinando la povera donna sul divano della zona giorno, ove continuava l’azione di strangolamento e asfissia, coadiuvato da Santoleri Giuseppe che teneva fermi i piedi della donna».


Quel che resta del suo corpo, intanto, è stato dissequestrato. Si potrà procedere al funerale. Gli amici e gli affetti della pittrice vorrebbero celebrarlo a Loreto. Sono due le parti civili al processo: la figlia Maria Chiara, assistita dall’avvocato Anna Maria Augello (chiesti 500mila euro di risarcimento) e l’associazione Penelope, rappresentata da Federica Guarrella (10mila euro).

La difesa: per Giuseppe c’è Alessandro Angelozzi, per Simone Gianluca Reitano e Gianluca Carradori. 

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