Pestato dalla baby gang, il racconto choc: «Urlavano: ti squarto! E uno aveva un coltello». Caccia ai bulli del centro

Controlli della polizia in piazza del Papa
Controlli della polizia in piazza del Papa
di Stefano Rispoli
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Mercoledì 21 Luglio 2021, 09:55 - Ultimo aggiornamento: 10:20

ANCONA - «Mi inseguivano e uno urlava: “Ti squarto, ti squarto!”. Mi hanno accerchiato in dieci, forse quindici. Ho provato a difendermi, ma non ce l’ho fatta. Mi hanno lasciato lì a terra, con il naso rotto e un dente spezzato». Chiede di restare anonimo, il cinquantenne selvaggiamente picchiato da un branco di ragazzini domenica sera in via Matteotti, dopo averne rimproverato uno perché in piazza del Papa era intenzionato a rubare una bicicletta. Ma ha voglia di sfogarsi, di raccontare il pestaggio da film che ricorda per filo e per segno, nonostante lo choc e il dolore. 


Trenta giorni di prognosi: è il responso (iniziale) dei medici che l’hanno curato al pronto soccorso di Torrette, dov’è arrivato in ambulanza. Sul volto, una maschera di sangue. «Mi hanno rotto il setto nasale e un dente, sono pieno di lividi e contusioni». Poteva andargli peggio perché, nell’agguato teso dai bulli, uno di loro avrebbe estratto un coltello, a detta di una coppia di amici della vittima che hanno assistito alla scena ma non hanno potuto far nulla per proteggerlo. «Hanno visto spuntare una lama lunga almeno venti centimetri - racconta il cinquantenne anconetano -. Per fortuna non l’hanno usata. Forse non hanno avuto tempo: questi raid avvengono in pochi secondi, ti riempiono di botte e poi scappano prima dell’arrivo delle forze dell’ordine». In effetti, quando polizia e carabinieri sono sopraggiunti in via Matteotti, della baby gang non c’era più traccia. Ma adesso sono in corso le indagini per dare un nome agli autori dell’aggressione-choc. Si confida nelle immagini della videosorveglianza della zona. 
Come quasi sempre accade, a scatenare la violenza sono stati futili motivi: una vera spedizione punitiva, secondo la vittima. «Ero con degli amici in piazza del Papa - ricorda -, ho notato quei ragazzi che facevano gli stupidi con una bicicletta, volevano rubarla, allora mi sono avvicinato insieme ad altre persone per dirgli: “Ve la fate finita o devo chiamare la polizia?”.

Uno di loro ha cominciato ad insultarmi, a rivolgermi parolacce e io gli ho risposto».

Era il siciliano, probabilmente minorenne, che a detta di un testimone rivendicava le sue origini per minacciare il cinquantenne («Non sai chi sono, te la faccio pagare»). La tensione è salita alle stelle, ma il parapiglia sembrava destinato a finire lì. E invece, poco dopo è andato in scena il secondo atto. Attorno alle 23,45 di domenica, l’uomo che ha osato sfidare il branco si è incamminato verso la sua auto, parcheggiata in via Cavorchie. I bulli non l’hanno perso di vista. «Mi hanno inseguito e in via Matteotti, davanti alla pizzeria La Zanzara, mi hanno circondato - racconta la vittima -. Mi sono ritrovato da solo contro dieci-quindici giovani, anche se poco dopo sono arrivati due miei amici che hanno visto spuntare un coltello. Ho provato a proteggermi, ho dato qualche colpo, ma hanno avuto la meglio loro. Mi hanno spaccato il naso a pugni, mandandomi all’ospedale».

Quando ha capito l’antifona, il 50enne ha tentato di chiedere aiuto, ma i bulli gli hanno strappato il cellulare di mano per scaraventarlo a terra, mandandolo in frantumi. Poi gli sono saltati addosso come furie. Solo alcuni l’avrebbero picchiato. Altri, tra cui un paio di ragazze, sarebbero rimasti a guardare e a controllare che non arrivassero le forze dell’ordine. «Uno urlava: “Ti squarto!”. Erano tutti giovani, alcuni minorenni, altri più grandi - continua il racconto -. Uno di loro era africano, un altro sudamericano, così mi è parso dai suoi tratti somatici. Sì, me la sono vista brutta». Dopo il dolore e la paura, una speranza: «Mi auguro che non finisca tutto in una bolla di sapone e che li prendano. Le telecamere ci sono. Quello che mi è successo conferma che sono necessari più controlli: la città è in mano a questi bulli, bisogna fermarli in qualche modo». 

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