Tazza d’Oro, addio
a corso Garibaldi

Tazza d’Oro, addio a corso Garibaldi
di Emanuele Coppari
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Venerdì 10 Gennaio 2014, 01:48 - Ultimo aggiornamento: 11 Gennaio, 18:47
ANCONA - Corso Garibaldi alla frutta, e sta per perdere uno dei suoi migliori caff. La Tazza d’Oro al passo d’addio, ha le valige in mano e in meno di un mese si trasferisce al civico 89 di corso Mazzini, nei locali lasciati vuoti da Acrilico, angolo via Marsala. Il Corso si spegne, mesto e intristito assiste alla fuga dei suoi figli migliori. Con la Tazza d’Oro se ne va un pezzo pregiato, il tempio della colazione e della pausa lavoro, dove da sempre si consuma un rito sul quale scende ormai il sipario. Ma la storia gloriosa della Tazza d’Oro continua. “Squadra che vince non si cambia”, abbozza uno slogan Flavio Zoppi che prosegue la tradizione vincente sulle orme del fondatore, papà Renato passato a miglior vita due anni fa. E’ abbottonato, rimanda al giorno dell’inaugurazione che si avvicina a larghi passi.



“Da tre mesi stiamo facendo i lavori, tra meno di un mese contiamo di partire”. Con la stessa griffe, e il mix di raffinatezza e qualità del servizio, specialità della casa.



Un sorso del locale che sarà: “Diciamo che sarà l’attualizzazione di una realtà che esiste da oltre 60 anni”. Dopo più di mezzo secolo la Tazza d’Oro volta pagina per ripartire, strappandone un’altra nel libro del corso Garibaldi di oggi, tanto assottigliato e impoverito. Basta sfogliare i capitoli dell’avventura della Tazza d’Oro per misurare il valore della perdita per la via principale del capoluogo, il cuore affaticato della pedonale. E’ Renato Zoppi a cominciare l'avventura nel cuore di Ancona che batte al ritmo della sua grande passione. C’è la sua firma sulla scia luminosa lasciata sul Corso dalla cometa della Tazza d’Oro. Proprio in corso Garibaldi ha iniziato a lavorare nel lontano 1952 come dipendente. Aveva appena diciannove anni, era il primo battito d’ali verso un meraviglioso volo sul cielo del commercio. Da quel primo passo a metà del Novecento ne ha fatta tanta di strada. Nel ’69 apre il Gran Bar sotto la Provincia. Dopo quasi vent'anni il ritorno all'antico ma con un salto di qualità: rileva la Tazza d'oro. Il resto è una salita vertiginosa sulla via del successo, fino a diventare stella polare del centro.



Per Renato è una grande soddisfazione: tornare in uno dei più prestigiosi bar del centro come titolare. Quanti personaggi sono poi sfilati lì davanti, quanti hanno varcato la soglia come attratti da un fascino irresistibile. Il primo nome che viene in mente è quello di Nanni Moretti che ha acceso i riflettori delle telecamere per girare una scena de “La stanza del figlio”. Il Caffè di Zoppi brilla con la stessa lucentezza della Palma d'oro vinta a Cannes dal capolavoro ambientato ad Ancona. Col critico, e tanto altro, Vittorio Sgarbi, è stato il classico fuori programma. Da consumato showman è entrato gridando entusiasta all'allora Soprintendente Liana Lippi: “Devi vincolare subito questo bar, è un'opera d'arte. Ma guardate quelle nicchie per le bottiglie”. Quale miglior complimento al restyling firmato dall'architetto Leonello Cipolloni. E tanti altri volti noti, dai politici ai nomi nobili del teatro che ai bei tempi si esibirono al Metropolitan quando ancora era libero dalla ragnatela delle impalcature e ancora doveva essere aggredito da quelle che lo avrebbero relegato nel ripostiglio degli ex e nel cassetto delle incompiute. Negli anni d'oro, quando il cine andava per la maggiore, si stava aperti fino alle 10 e 30 di sera, la gente si accalcava prima del secondo spettacolo.



E chi conosceva Renato Zoppi e la sua creatura, di sicuro tornava. Anche solo per rivederlo all'opera, perché è bello veder amare un mestiere come Renato adorava il suo. La macchina del caffè era il regno di Renato Zoppi, la Tazza d’Oro la corona del Corso. Che comincia il nuovo anno come ha chiuso il vecchio: a fari spenti. E perde appeal e prestigio, lascia per strada le sue gemme mentre la strada del rilancio si fa sempre più in salita.



Milton Donna e Tazza d’Oro sono gli ultimi due nomi, altisonanti, che si aggiungono alla lista di chi se ne va. Per motivi diversi, ma c’è un minimo comune denominatore: corso Garibaldi si depaupera, segno di una capacità d’attrazione in picchiata. L’allarme rosso riprende a suonare, lo fa giusto di fronte al cantiere aperto dell’ex Metro. Il segno di una città che ha perso smalto e ha smarrito buona parte della sua identità.
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