ANCONA - Quando il compagno di cella è entrato in bagno, Mattia Rossetti era con il cappio al collo, con la corda fatta di pezzi di lenzuolo attaccata a una grata. Non gli ha permesso di compiere quello che probabilmente poteva essere un gesto estremo, tagliando in qualche modo la tensione della fune improvvisata. Una volta liberato dal “cappio”, con le lacrime agli occhi, ha rappresentato agli agenti della Polizia Penitenziaria del carcere di Montacuto tutta la disperazione per il procedimento in cui è chiamato a rispondere dell’omicidio del suo ex compagno di scuola, il 26enne Michele Martedì, ucciso a coltellate la mattina dello scorso 8 dicembre, lungo via Maggini.
L’allarme all’interno del penitenziario anconetano è scattato poco dopo la mezzanotte di giovedì, un orario in cui avviene il cambio turno degli agenti. A richiamare l’attenzione degli operatori di polizia sono state le urla del compagno di cella di Rossetti che chiedeva aiuto. Si era insospettito perché non vedeva tornare il 27enne anconetano dal bagno. Così, è sceso dal letto ed è andato a controllare. Quando ha aperto la porta Rossetti aveva attorno al collo una corda fatta di lenzuola, di quelle date in dotazione ai detenuti. Il “cappio” era stretto in maniera flebile. Sulla grata della finestra c’era legata la fune, molto corta. La prontezza dell’uomo con cui divide la cella ha evitato il peggio.
La perizia
In dibattimento, probabilmente, ci sarà uno scontro tra perizie: da una parte quella della procura, secondo cui Rossetti era affetto da un parziale vizio di mente al momento dei fatti; dall’altra quella della difesa, per cui il 27enne era totalmente incapace di intendere e di volere. Alla base, un disturbo paranoide della personalità. La scorsa settimana un possibile tentativo di suicidio è stato sventato da un agente della Penitenziaria. Ha fermato un macedone arrestato per tentato omicidio (con vittima il compagno della figlia) dopo averlo visto portare in bagno sgabello e lenzuola.