Ancona, nave troppo veloce e cavo
usurato le cause della morte di Luca

Ancona, nave troppo veloce e cavo usurato le cause della morte di Luca
di Stefano Rispoli
3 Minuti di Lettura
Giovedì 13 Giugno 2019, 03:45

ANCONA - La nave forse andava troppo veloce quando è approdata in porto, nonostante le condizioni meteomarine fossero assolutamente buone, e nella manovra d’attracco qualcosa è andato storto: un errore umano, sospettano gli investigatori, al di là della possibile usura della cima che si è spezzata all’improvviso e, con una frustata fatale, ha raggiunto al collo e ucciso Luca Rizzeri.
Mentre la città si prepara al giorno più straziante, quello dell’ultimo saluto al giovane papà che proprio oggi avrebbe compiuto 34 anni - i funerali si terranno domani alle 10.30 nella parrocchia di via delle Grazie, mentre la camera ardente è stata allestita all’obitorio di Torrette ieri pomeriggio - l’inchiesta sul tragico incidente avvenuto sulla banchina 23 entra nel vivo.
  
E spunta il primo indagato, per il quale la procura ipotizza il reato di omicidio colposo: è il comandante ucraino della Bf Philipp, la container ship battente bandiera portoghese, di proprietà di un armatore genovese, il cui arrivo da Trieste era previsto alle 6,30 di lunedì. Il sospetto degli investigatori, che stanno completando gli accertamenti, è che la manovra di attracco non sia stata eseguita a regola d’arte. Lo si intuisce dai filmati delle spycam del porto che hanno ripreso l’intera scena del disastro, inclusi i momenti in cui il cavo si spezza e frusta mortalmente l’agente marittimo. Lo si evince anche dalle testimonianze dell’equipaggio di bordo (una decina di persone, fra ucraini e filippini) e dal racconto degli ormeggiatori (loro non sono in alcun modo responsabili dell’incidente). La verità è contenuta nella scatola nera, sequestrata, e per la quale la procura ha disposto un accertamento tecnico irripetibile: il problema è che, da una prima analisi, il registratore dei dati di viaggio risulterebbe malfunzionante. Un guaio in più per il comandante ucraino, che conosceva bene la banchina 23 dove, con la stessa nave, aveva attraccato altre 5 volte: è lui il primo ad essere iscritto nel registro degli indagati, ma potrebbe non essere l’unico. Se sarà confermata l’inefficienza del dispositivo, obbligatorio per tutte le navi italiane e quelle straniere che approdano in porti italiani, allora potrebbe scattare, se non il sequestro, il fermo amministrativo. La sostanza non cambia: il provvedimento imporrà alla container ship di restare ancorata in porto finché non verranno ripristinate le condizioni di sicurezza. Anche senza l’ausilio della scatola nera, gli inquirenti della Capitaneria hanno già fornito alla procura un quadro indiziario piuttosto preciso: c’è il fondato sospetto che la manovra d’attracco non sia stata eseguita correttamente.
Colpa della velocità con cui la Bf Philipp, lunedì all’alba, si sarebbe accostata alla banchina. Una velocità eccessiva - questa è l’ipotesi prevalente - e inadatta per frenare la corsa con l’utilizzo delle cime: per questo lo spring di prua, agganciato alla bitta, sarebbe andato in tensione, acquistando così tanta resistenza da spezzarsi. Un troncone ha colpito in pieno Luca, sorpreso di spalle mentre si stava allontanando dalla banchina, a circa 80 metri di distanza, senza dargli scampo. La dinamica, suggerita dallo studio cinematico sull’imbarcazione e dalle telecamere, andrà confrontata con l’analisi del cavo-killer, per il quale il pm Rosario Lioniello ha disposto una perizia, ipotizzando un concorso di colpe: non solo l’eventuale manovra scorretta, ma anche l’usura della cima posta sotto sequestro. Di questa circostanza potrebbe rispondere chi materialmente si deve occupare della manutenzione dell’equipaggiamento, ammesso che l’accertamento confermi il deterioramento del cavo e, dunque, corrobori un quadro di negligenza complessiva che potrebbe estendersi a nuovi indagati.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA