«I malati senza familiari anche quando muoiono». I cappellani degli ospedali al fianco di pazienti, parenti, medici e infermieri

I cappellani dell’ospedale di Torrette: padre Enrico è l’ultimo a destra
I cappellani dell’ospedale di Torrette: padre Enrico è l’ultimo a destra
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Mercoledì 25 Marzo 2020, 07:52

ANCONA - Con la loro presenza discreta, con le loro parole di conforto, in questi giorni di emergenza sanitaria, svolgono un servizio prezioso in termini di vicinanza e sostegno nei confronti dei malati e del personale sanitario. Si tratta dei cappellani degli ospedali che operano nella Diocesi di Ancona-Osimo che rappresentano il segno della presenza di Dio in questa drammatica situazione dettata dal coronavirus, continuando a far arrivare a tutti i sacramenti.

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All’ospedale regionale di Torrette, dove ci sono tanti pazienti positivi al Covid-19 ed il personale sanitario lavora senza sosta, è fondamentale il sostegno spirituale dei cappellani, di padre Enrico Matta, padre Giovanni Pieroni e padre Stefano Carloni. Tre frati cappuccini che operano da tempo all’interno di questo ospedale e che in questi giorni sono chiamati a far sentire la loro vicinanza. «Viviamo questa emergenza stando accanto ai malati – racconta padre Enrico Matta – ma anche ai medici e agli infermieri. La comunione continuiamo a portarla nei reparti e siamo disponibili alle confessioni. Chiedono di potersi confessare anche gli infermieri e il personale sanitario e ascoltiamo le persone che hanno bisogno». 

 


Padre Enrico è a Torrette da 13 anni, sacerdote da 18. «Non ho mai visto una situazione simile - racconta -. Anche perché si tratta di un momento veramente particolare. I malati del Covid non hanno nessuno dei familiari con loro, senza affetti e contatti con i loro cari. E gli stessi familiari vivono con angoscia questi momenti, senza poterli vedere neanche una volta deceduti. È veramente triste ma occorre andare avanti». Padre Enrico è anconetano del Sacro Cuore, chiesa in cui ha prima fatto il chierichetto e poi diventato sacerdote il 4 aprile 2002, dalle mani di mons. Franco Festorazzi, ispirato da padre Bernardino nel suo percorso spirituale. Prima aveva fatto il pilota d’aerei poi la chiamata del Signore e la sua discesa in campo per diffondere la parola del Vangelo. «Ci vuole tanta fede e coraggio in questi momenti - afferma - La fede è necessaria, il coraggio ce l’infonde Gesù. Del resto il Signore ci ha chiamato a fare quello che facciamo in maniera appassionata ma mi sento di dire che in fondo non facciamo nulla di straordinario. Aiutiamo solo il prossimo». Il suo pensiero, piuttosto, va a medici, infermieri e personale sanitario. «Sono encomiabili. Loro sono i veri eroi. Si spendono senza sosta, anche con pochi ed adeguati sussidi sanitari. Alcuni di loro preferiscono alloggiare lontano da casa per non infettare i loro cari e quindi da giorni non vedono i loro familiari. Parliamo con loro - conclude - cercando di essere disponibile anche per i sacramenti. Per raccogliere il loro stato d’animo. Così come cerchiamo di essere vicini anche agli altri ammalati non Covid 19, e ce ne sono tanti perché le altre malattie, specialmente quelle oncologiche, non vanno in ferie». 

Padre Enrico ed i suoi due confratelli hanno anche sperimentato l’esperienza della clinica di Rianimazione. «Sovente siamo lì per dare per dare il sacramento dell’unzione degli infermi.

Questa mattina (ieri ndr.) l’ho fatto per due volte (una per un missionario saveriano che purtroppo non ce l’ha fatta). Chiaramente mi hanno bardato con tuta, guanti e mascherine, per entrare nel reparto». Ma cosa è cambiato nell’ospedale di Torrette in questi ultimi giorni? «La normale operatività è stravolta da questa emergenza. Noi continuiamo a svolgere il nostro servizio perché i malati hanno bisogno anche del sostegno spirituale, oltre che di quello medico. Siamo dei pastori e siamo chiamati a stare vicino alle persone, anche dando la vita. Numerosi santi che la Chiesa ha canonizzato dimostrano questo, ad esempio san Carlo Borromeo era giovane e aveva tutta la vita davanti, ma quando c’è stata la peste a Milano è stato il primo ad assistere gli appestati». 

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