Il lockdown? Non per tutti. Nella città fantasma negozi aperti grazie alle deroghe dell'ordinanza

Corso Garibaldi in zona rossa
Corso Garibaldi in zona rossa
di Stefano Rispoli
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Giovedì 4 Marzo 2021, 08:15

ANCONA - La chiamano zona rossa ma con il lockdown di un anno fa non ha nulla a che vedere. Sì, la città si è svuotata, le massime restrizioni in vigore da ieri hanno sensibilmente ridotto gli spostamenti e lo struscio. Ma paradossalmente in centro ci sono più attività aperte che chiuse: è l’effetto delle numerose deroghe contenute nell’allegato 23 dell’ordinanza firmata dal governatore Francesco Acquaroli per contenere i contagi dilaganti.

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Così, passeggiando su corso Garibaldi, scopri ad esempio che buona parte dei negozi d’abbigliamento che vendono, tra gli altri, articoli per i bambini sono operativi: comprare un paio di sneakers (per adulti) è possibile anche in zona rossa, per non parlare di forni, farmacie, tabaccherie, edicole, negozi di intimo, macellerie, librerie, supermercati. Perfino La Stilografica, che da mezzo secolo vende penne da collezione, ha le serrande alzate. 


«Rientriamo nel codice Ateco delle cartolerie e fornitura per uffici, dunque possiamo stare aperti, ma la beffa è che nessuno lo sa - dice il titolare, Francesco Ciarrocchi -: così, non solo non ho clienti, ma non ricevo neppure i ristori. Se esamini il decreto, ti rendi conto che sono molti i negozi che possono lavorare, ma se poi la gente non può uscire di casa è tutto inutile. Io ho deciso di aprire giusto per fare i pacchetti dei prodotti venduti online. Ma così non ha senso: un lockdown serio si fa chiudendo tutto e mettendo a disposizione i vaccini. Invece dopo un anno siamo punto e a capo con i cambi di colore improvvisi e con queste interruzioni a singhiozzo». Splende il sole sul capoluogo sprofondato nel rosso cupo dell’emergenza. In piazza Roma c’è chi si abbronza ai piedi della fontana e chi sorseggia un caffè da asporto. Passano runner e ciclisti: l’attività fisica, d’altronde, è consentita vicino casa.
Una signora arrivata da fuori regione bussa al Bar Piccadilly: «Non sapevo della zona rossa... dove posso mangiare una piadina?». Il titolare, Claudio Paniconi, allarga le braccia. «Se ho fatto 10 asporti è tanto - dice -. Quest’ordinanza è una mazzata e come al solito noi baristi siamo i più penalizzati: conviene restare a casa».

Cambi lato della piazza e la storia è la stessa. «Non c’era gente in arancione, figuriamoci in rosso - fa Enri, dipendente del bar La Piazzetta -. Sono qua dalle 9, neanche 50 euro di incassi. Ma se l’alternativa è stare sul divano...» Sul corso passa una pattuglia della polizia locale per controllare mascherine e autocertificazioni. Anche i vigili fanno fatica a districarsi nel guazzabuglio di regole.

«In base ai codici Ateco verifichiamo chi può stare aperto e chi no, ma non è così facile», ammettono. Si avvicina Laura, una mamma con la figlioletta di due anni. «Abito qui vicino, posso fare una passeggiata fino a piazza Diaz?», chiede. Risposta affermativa. «Sa, non ci si capisce più nulla, ci manca solo una multa. Ma a forza di restare chiusi in casa, mia figlia non vuole più uscire, è tanto impaurita». Un giorno toccherà fare i conti con le ripercussioni psicologiche del Covid sulle nuove generazioni. Per ora si pensa alle regole, ferree ma fino a un certo punto. Al Mercato delle Erbe è rimasto tutto come in arancione, se non in giallo.

«I clienti abituali venivano a trovarci prima e vengono ancora - dice Giuseppe Balloni mentre sistema la verdura nel suo stand -. Lavoriamo con le consegne a domicilio, ma qui al mercato non è cambiato granché». D’altro canto, è lecito uscire per tanti motivi, anche per comprare il giornale. «Ma oggi (ieri, ndr) c’è stata la metà della gente - lamenta Mauro Paolinelli dell’edicola di piazza Roma -. Il rosso ci ha spiazzati, il centro si è svuotato: anticiperemo la chiusura». Acquistare vestiti per bambini si può. «Ma lavoriamo a ondate, come il Covid - dice Manuela Merola di Grent -. Il timore è che resteremo rossi fino a Pasqua, proprio ora che ci si prepara alle cerimonie». In questa valle di lacrime, piangono di più i baristi. «In giro non c’è un’anima - si dispera Flavio Zoppi della Tazza d’Oro -. Stiamo aperti per sentirci vivi, ma con l’asporto non campiamo». 

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