ANCONA - La chiamano zona rossa ma con il lockdown di un anno fa non ha nulla a che vedere. Sì, la città si è svuotata, le massime restrizioni in vigore da ieri hanno sensibilmente ridotto gli spostamenti e lo struscio. Ma paradossalmente in centro ci sono più attività aperte che chiuse: è l’effetto delle numerose deroghe contenute nell’allegato 23 dell’ordinanza firmata dal governatore Francesco Acquaroli per contenere i contagi dilaganti.
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«Rientriamo nel codice Ateco delle cartolerie e fornitura per uffici, dunque possiamo stare aperti, ma la beffa è che nessuno lo sa - dice il titolare, Francesco Ciarrocchi -: così, non solo non ho clienti, ma non ricevo neppure i ristori. Se esamini il decreto, ti rendi conto che sono molti i negozi che possono lavorare, ma se poi la gente non può uscire di casa è tutto inutile. Io ho deciso di aprire giusto per fare i pacchetti dei prodotti venduti online. Ma così non ha senso: un lockdown serio si fa chiudendo tutto e mettendo a disposizione i vaccini. Invece dopo un anno siamo punto e a capo con i cambi di colore improvvisi e con queste interruzioni a singhiozzo». Splende il sole sul capoluogo sprofondato nel rosso cupo dell’emergenza. In piazza Roma c’è chi si abbronza ai piedi della fontana e chi sorseggia un caffè da asporto. Passano runner e ciclisti: l’attività fisica, d’altronde, è consentita vicino casa.
Una signora arrivata da fuori regione bussa al Bar Piccadilly: «Non sapevo della zona rossa... dove posso mangiare una piadina?». Il titolare, Claudio Paniconi, allarga le braccia. «Se ho fatto 10 asporti è tanto - dice -. Quest’ordinanza è una mazzata e come al solito noi baristi siamo i più penalizzati: conviene restare a casa».
Cambi lato della piazza e la storia è la stessa. «Non c’era gente in arancione, figuriamoci in rosso - fa Enri, dipendente del bar La Piazzetta -. Sono qua dalle 9, neanche 50 euro di incassi. Ma se l’alternativa è stare sul divano...» Sul corso passa una pattuglia della polizia locale per controllare mascherine e autocertificazioni. Anche i vigili fanno fatica a districarsi nel guazzabuglio di regole.
«In base ai codici Ateco verifichiamo chi può stare aperto e chi no, ma non è così facile», ammettono. Si avvicina Laura, una mamma con la figlioletta di due anni. «Abito qui vicino, posso fare una passeggiata fino a piazza Diaz?», chiede. Risposta affermativa. «Sa, non ci si capisce più nulla, ci manca solo una multa. Ma a forza di restare chiusi in casa, mia figlia non vuole più uscire, è tanto impaurita». Un giorno toccherà fare i conti con le ripercussioni psicologiche del Covid sulle nuove generazioni. Per ora si pensa alle regole, ferree ma fino a un certo punto. Al Mercato delle Erbe è rimasto tutto come in arancione, se non in giallo.
«I clienti abituali venivano a trovarci prima e vengono ancora - dice Giuseppe Balloni mentre sistema la verdura nel suo stand -. Lavoriamo con le consegne a domicilio, ma qui al mercato non è cambiato granché». D’altro canto, è lecito uscire per tanti motivi, anche per comprare il giornale. «Ma oggi (ieri, ndr) c’è stata la metà della gente - lamenta Mauro Paolinelli dell’edicola di piazza Roma -. Il rosso ci ha spiazzati, il centro si è svuotato: anticiperemo la chiusura». Acquistare vestiti per bambini si può. «Ma lavoriamo a ondate, come il Covid - dice Manuela Merola di Grent -. Il timore è che resteremo rossi fino a Pasqua, proprio ora che ci si prepara alle cerimonie». In questa valle di lacrime, piangono di più i baristi. «In giro non c’è un’anima - si dispera Flavio Zoppi della Tazza d’Oro -. Stiamo aperti per sentirci vivi, ma con l’asporto non campiamo».