«Io, nella tana dell’aguzzino
Che gioia vedere le divise»

«Io, nella tana dell’aguzzino Che gioia vedere le divise»
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Martedì 13 Novembre 2018, 04:35

ANCONA - «Ero stordita, non sapevo nemmeno dove mi trovavo. Ho visto il pitbull azzannare un agente, non mi sembrava reale. Ma quando quella poliziotta mi è venuta incontro, ho pensato: che fortuna, sarà la mia salvezza». La poliziotta era Tiziana Maccari che con le colleghe della sezione Reati contro la violenza di genere ha tratto in salvo la 22enne violentata ripetutamente da Isaac Adejoju Adetifa, il pusher in carcere con accuse gravissime. Era imbottita di droga la ragazza che gli angeli custodi della questura hanno sottratto a un mondo oscuro, quello di gang di nigeriani dediti allo spaccio che vivono ai margini della società. 

 

Per quanto stremata e provata, Chiara, come chiameremo l’anconetana scampata a una storia dal finale potenzialmente fatale, è lucida e determinata, anche se fragile. Ieri è scoppiata in un pianto dirotto mentre con le poliziotte, gli specialisti del centro antiviolenza e la criminologa Margherita Carlini, sotto il coordinamento del vicequestore Carlo Pinto, capo della Squadra Mobile, si apriva al racconto dei terribili momenti vissuti nella casa dell’orrore. A quasi una settimana da quando è stato scoperchiato tutto il marcio che regnava nell’appartamento abusivo di via Pergolesi, la vittima è stata ascoltata in un’aula protetta della questura. Ha confermato tutto ciò che aveva già raccontato agli investigatori sin dall’inizio: il primo contatto con il Boss, conosciuto tramite l’ex fidanzato. La dipendenza dagli stupefacenti. Le violenze sessuali subite in almeno 10-15 occasioni dal suo fornitore, che la invitava a provare insieme la cocaina e l’eroina e poi abusava di lei. Ha continuato a bussare alla sua porta perché il desiderio di evadere era incontenibile. 

«Non ero la sua fidanzata, andavo da lui perché sapevo che potevo comprarmi la droga» ha ribadito Chiara alle poliziotte che ora vede come sue amiche. «Quando non avevo l’eroina stavo malissimo, talmente male che l’unica che volevo era procurarmela per sentirmi meglio», ha aggiunto in lacrime. Più passano i giorni e più riaffiorano dettagli della mattina in cui la Squadra Mobile ha fatto irruzione nella casa degli incubi, che la ragazza ha frequentato per tre mesi. In tutto questo tempo, ha spiegato, «non sapevo a chi chiedere aiuto. Mi sono tenuta dentro tutti i problemi perché non avevo nessuno con cui parlarne. Quando in quella casa ho visto la poliziotta venirmi incontro, ho pensato: che fortuna, sarà la mia salvezza». Perché il vero male della droga è questo: ti annienta, spezza gli affetti, ti isola dal mondo. «Non ero in me quando sono successe quelle cose: prima mi faceva drogare e poi mi violentava» ha ripetuto più volte Chiara. 

Ma un appello indiretto lo ha lanciato a tutte le ragazze che, come lei, hanno toccato il fondo. «Non abbiate paura: denunciate, rivolgetevi alle forze dell’ordine, parlate perché è l’unico modo per uscire dal tunnel». Ora lei è assistita da un lato dagli specialisti del Servizio per le Dipendenze, dall’altro dalla psicologa e criminologa Margherita Carlini del centro antiviolenza Donne e Giustizia, che spiega: «E’ una ragazza vulnerabile, ma molto lucida, che ha scelto di reagire con forza per aprire un nuovo capitolo della sua vita. Ci incontreremo ogni settimana per un cammino in cui dovrà affrontare tanti aspetti: la dipendenza, le violenze subite, l’iter giudiziario, il reinserimento in un contesto sociale, anche se ha la fortuna di avere un lavoro e una famiglia normalissima. Ma ho avuto l’impressione che sia sentita molto sola, come spesso avviene ai giovani che cadono negli abissi della droga».

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