Invasi dai supermercati. «Ma non illudiamoci, non portano lavoro. Spostano solo masse di precari»

Invasi dai supermercati. «Ma non illudiamoci, non portano lavoro. Spostano solo masse di precari»
Invasi dai supermercati. «Ma non illudiamoci, non portano lavoro. Spostano solo masse di precari»
di Maria Cristina Benedetti
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Venerdì 7 Agosto 2020, 09:14
ANCONA - Non creano più occupazione, ne la migliorano. Vietato illudersi. «Spesso l’apertura di centri della grande e media distribuzione genera spostamento di grosse masse di lavoratori precari». Selena Soleggiati, segretaria generale della Fist Cisl Marche va dritta al nucleo del fenomeno: l’invasione dei giganti della spesa. Sono sette in tre chilometri alla Baraccola e quattro in 500 metri alla Montagnola dove l’ultima di cronaca stravolge i contorni del quartiere. Giù l’ex Ipc Podesti e la scuola - una struttura abbandonata da 15 anni - diventerà un supermercato. La Soleggiati sistema sul vetrino del microscopio un altro elemento che mina un terreno già a rischio: il commercio tradizionale.

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«La Baraccola è stata una pietra miliare nel cambio di rotta di antiche abitudini che legavano commercianti e clienti». È l’altrove che stravolge la quotidianità. «Le Marche sono sempre state ricche di piccole realtà, botteghe, che soprattutto nei paesi avevano una valenza sociale. Il dilagare dei grandi magazzini ha messo all’angolo i piccoli che non riuscivano a sostenere la concorrenza delle aperture domenicali e la battaglia dei prezzi». Entra nelle pieghe più sgualcite: «Il cliente ormai s’è abituato a rincorrere l’offerta del giorno proposta dal marchio di turno. Una rincorsa impossibile da sostenere per chi non ha dimensioni adeguate». Arriva al paradosso: «La Regione aveva raggiunto un accordo per contingentare la grande distribuzione, uno sforzo reso nullo dalle direttive europee che non pongono limiti alla libera circolazione anche delle merci». Non dimentica la sfumatura del turismo: «I nostri borghi svuotati e i centri commerciali che si riempiono. Non è una bella immagine da offrire». Porta alla sintesi il suo ragionamento: «Serve un piano del commercio che uniformi regole e prospettive, da gestire non più a livello comunale, ma provinciale. Meglio ancora, regionale». 

Le strutture 
Coglie il particolare. «Sono medie strutture che sorgono nelle città, non più le mega che una volta nascevano numerose fuori dai centri urbani». Massimiliano Polacco, direttore di Confcommercio Marche, racconta di una nuova tendenza e del percorso per la messa in pratica. «Serve solo l’autorizzazione urbanistica del Comune. Basta. Noi, come Confcommercio, ci siamo sempre battuti per le regole che con la legge Barsani sono state sacrificate nel segno del liberismo». Mette in guardia: «Non vorrei che anche in Italia accadesse come in Francia che, dopo una politica spinta di aperture di centri commerciali, è stata costretta a fare marcia indietro». Sul fronte occupazionale invita a fare le dovute differenze. «Molto dipende dalla serietà del marchio». Ma si sofferma sul concetto di stabilità: «Con due strutture commerciali simili a pochi metri l’una dall’altra può accadere che una delle due soccomba. Generando disoccupazione». Torna a dire: «È per questo che noi abbiamo sempre invocato delle regole. Continueremo a farlo». Polacco chiude con una nota di costume che potrebbe essere l’ordito del futuro: «I piccoli negozi, le botteghe di vicinato ci hanno permesso di sopravvivere durante il lockdown». Appunti per il domani.  

La resistenza 
Cambia l’angolazione. Marco Pierpaoli, segretario di Confartigianato per Ancona, Pesaro e Urbino, premette: «Non mi appassiona più il tema del piccolo o grande». No, lui, bada alla sostanza. «Un’impresa che apre è sempre una buona notizia, anche in termini occupazionali». Passa oltre: «L’importante è che abbiano la capacità di resistere e che si creino le condizioni per la sopravvivenza di tutti». E sottolinea: tutti. 

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