La presidente del consiglio Dini ostaggio in casa per il Covid: «Se non ci passi non puoi capire. Vi racconto il mio incubo»

La presidente del consiglio Susanna Dini ostaggio in casa per il Covid: «Se non ci passi non puoi capire. Vi racconto il mio incubo»
La presidente del consiglio Susanna Dini ostaggio in casa per il Covid: «Se non ci passi non puoi capire. Vi racconto il mio incubo»
di Lucilla Niccolini
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Martedì 24 Novembre 2020, 02:50

ANCONA  - «Finché non ci passi, non puoi capire». A Susanna Dini, presidente del Consiglio comunale, la voce stentorea si spezza. Prima uscita, ieri, dopo 21 giorni di isolamento. La spesa, poi un salto in Comune. E subito prima un post su Fb. Uno sfogo. «La sensazione di essere prigioniero in casa è pesante».

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Tre settimane di reclusione, con marito e figli, due gemellini di sette anni e mezzo. Tutti positivi. «L’ho scoperto dal tampone il 30 ottobre. Non avevo febbre, il medico mi ha detto che se avessi passato i quindici giorni, potevo dire di averla sfangata».

Si chiude in camera, da sola. «Sentivo i bambini fuori della porta. Chiedevano di vedermi, di abbracciarmi, bussavano, Maria Vera piangeva. Uno strazio». Quella porta torna ad aprirsi, quando anche i tamponi di marito e figli risultano positivi. E arriva la crisi: Susanna è asmatica, dopo una settimana comincia a tossire in modo preoccupante. Viene attivata l’Unità Speciale di Continuità Assistenziale, la Usca. «È arrivata la task force, medici e infermieri con le tute bianche. Non riuscivo a fare un respiro profondo, mi assaliva una tosse squassante».

Le diagnosticano la polmonite bilaterale. «Mi hanno detto di mettere un cambio di biancheria in valigia e via, all’ospedale, a fare la Tac». Era domenica. «Medici e infermieri sono stati eccezionali, gentili e disponibili, rassicuranti. E ho capito che il nostro sistema sanitario funziona». Paura? «Più che per me, per Federico e i bambini, che restavano soli a casa, isolati. E positivi». Martedì, a Torrette, le lastre confermano la diagnosi, ma può tornare in famiglia, in isolamento. «Asintomatici i gemelli, mio marito con sintomi più deboli. Ci hanno curato a tachipirina, antibiotici e cortisone. Per me, una panacea: l’azitromicina, somministrata al principio, sembrava mi avesse fatto peggiorare. Era la malattia che faceva il suo corso». Dolori alle ossa. «Più forti, di quando hai un’influenza comune. Il corpo a pezzi». 

Ma almeno stanno tutti insieme.

Chiusi, ma insieme. «Ed è scattata la rete di famigliari e amici. Ci lasciavano la spesa fuori della porta. Non ci hanno fatto mancare niente». Ma la vera accortezza era stata di avere interrotto i contatti con i nonni. «Abbiamo smesso di andare a visitare mamma e papà, 75 e 79 anni, quando la situazione pandemica si è aggravata. Non li vediamo da più di un mese. E li abbiamo preservati». Che sentimenti, in queste ultime tre settimane? «Ogni sera ti addormenti pensando che non sai come andrà a finire. Puoi solo aspettare che passi. Di tanto in tanto ti assale la claustrofobia, inevitabile. Soprattutto ti fa male vedere i bambini reclusi, uno stato per loro innaturale».

Come se la sono cavata? «Per fortuna non hanno mai avuto sintomi, stavano bene, erano vivaci. All’inizio mi preoccupavo che perdessero giorni di scuola. Ma le maestre Cristina e Diana, sono state meravigliose, con le lezioni a distanza. Nella classe di Gianmarco, i positivi erano in tre; in quella di Maria Vera, solo lei: la maestra Cristina ripeteva per lei soltanto, ogni pomeriggio, quello che aveva spiegato la mattina agli altri, in presenza». E quando venerdì, col certificato dell’Asur nella tasca del grembiule, sono tornati in classe, i compagni avevano dipinto su uno striscione “Bentornati”. «Che emozione». 

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