ANCONA - Quarantasette morti e circa 2.300 contagi in una settimana nella provincia. Oltre il 2% degli anconetani è in quarantena, quasi uno su 100 ha il Covid. I dati inchiodano il capoluogo, sprofondato in zona rossa per l’esplosione della pandemia. In attesa dei vaccini, la speranza è riposta nelle restrizioni del lockdown. «Ma per vederne gli effetti, bisognerà attendere due o tre settimane» avverte la dottoressa Susanna Contucci, responsabile dell’Osservazione Breve Intensiva (Obi) di Torrette.
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Nel frattempo, si continua a pagare lo scotto della “semilibertà” delle settimane scorse. Le ripercussioni sono sugli ospedali. Fra Torrette, Inrca e Salesi ci sono quasi 200 ricoverati per il Covid. Se in via Corridoni la situazione è sotto controllo - due bambini in osservazione in Pediatria, oltre al piccolo di 7 mesi operato per un problema intestinale e ancora in terapia intensiva -, ben diversa è l’atmosfera che si vive all’Inrca, dove gli anziani contagiati dal virus e in cura nella struttura di via della Montagnola sono risaliti a 54. Hanno toccato quota 138, invece, i pazienti Covid assistiti a Torrette, dove i posti letto sono ormai esauriti da giorni e si fatica anche a procedere con le dimissioni. Il quadro, ieri pomeriggio, era il seguente: 19 persone in terapia intensiva, 21 nell’area sub-intensiva, 39 nel reparto di Malattie infettive (tra Clinica e Divisione), 35 nell’area Cov-4 che è stata da poco estesa a 38 posti letto, con la possibilità (al vaglio della direzione sanitaria) di salire a 42, infine 24 al Pronto soccorso.
Qui l’emergenza si tocca con mano. «Siamo oltre il limite, sono giorni da incubo, ma il peggiore è stato giovedì - racconta la dottoressa Contucci -: c’erano fino a 32 pazienti Covid in attesa in contemporanea, tra l’altro concentrati in poche ore, tutti provenienti da Ancona e dal vicino hinterland. Ormai i nostri reparti dedicati sono pieni e sta aumentando la gravità dei pazienti. La loro età? Tra i 50 e i 70 anni, ma vediamo anche diverse persone tra i 40 e i 50». Nella maggior parte dei casi si tratta di noti positivi, già trattati a domicilio dai medici di base e dalle squadre dell’Usca. Ma le terapie talvolta non sono sufficienti e allora si rende necessaria l’ospedalizzazione con l’aggravarsi delle condizioni di salute. «Stiamo facendo uno sforzo enorme, ma vorrei dire che noi ci siamo - aggiunge la responsabile dell’Obi -. Ringrazio medici e infermieri delle aree critiche, del Dipartimento di emergenza e delle Malattie infettive perché stanno facendo il massimo, in un momento molto complicato».
Quella che sta andando in archivio è stata una delle settimane più nere mai vissute dal capoluogo in un anno di pandemia.