C’è un focolaio, bisogna fare il tampone: un infermiere si rifiuta e va dal giudice

C’è un focolaio, bisogna fare il tampone: un infermiere si rifiuta e va dal giudice
C’è un focolaio, bisogna fare il tampone: un infermiere si rifiuta e va dal giudice
di Maria Cristina Benedetti
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Lunedì 1 Febbraio 2021, 10:25 - Ultimo aggiornamento: 10:52

ANCONA -  Meno uno. La misura del lento decremento. La conta degli Ospedali Riuniti ieri s’era assestata a 91 ricoveri sui 118 posti dedicati alla cura del Coronavirus. A Torrette erano liberi due letti in terapia intensiva, altrettanti al Salesi. Un segno, lieve, che la pressione s’allenta.

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Di verso opposto è quello che racconta dell’andirivieni al pronto soccorso del quartier generale sanitario alle porte di Ancona. È sotto stress da settimane per via della ridotta capacità d’accoglienza da parte delle strutture convertite al Covid sparse sul territorio. La sintesi: una concentrazione di patologie, slegate dalla logica della pandemia, converge qui, nella struttura regionale. Una situazione che si ripete da giorni, quasi a diventare consuetudine. Ed è sullo sfondo di questa nuova normalità che la rianimazione pulita verrà trasferita al sesto piano, perché in Divisione sono iniziati i lavori di ampliamento. 

La replica quotidiana dell’emergenza. Come il sospetto del nuovo caso di contagio. Dopo quello di venerdì scorso in clinica chirurgica, ieri la stessa sorte sarebbe toccata al reparto di chirurgia plastica. Il paziente che potrebbe essere positivo era stato trasferito da Senigallia a Torrette e in entrata sarebbe risultato negativo. Nel caso venisse confermato l’esito del test, si procederebbe come di consueto: tamponi per tutti, nonostante sia stato scongiurato fin da subito il focolaio. Come, invece, fu una ventina di giorni fa, quando l’allarme rosso dei contagi interni scattò nell’area Gastro, mentre le zone dedicate alla cura del virus tendevano di nuovo al punto di saturazione. A provocare la scintilla, allora, erano tre positivi. E fu il solito calvario: tamponi a raffica e la comunicazione di accelerare al massimo le dimissioni e di ridurre all’estrema sintesi i ricoveri. Il flusso venne garantito solo per le emergenze. Il reparto era semi-chiuso. Ma due infermieri si rifiutarono di sottoporsi al test. Per loro scattò un ordine di servizio che traeva la sua forza dai verbali redatti dagli organi competenti ad analizzare quel cluster. I tamponi dovevano valere per tutti, nessuno escluso. 

Il braccio di ferro si inasprì.

A tal punto che la linea dettata dall’azienda ospedaliera non venne accettata da uno dei due infermieri: decise di rivolgersi al giudice del lavoro. Il motivo del contendere era tra il considerare quell’esame un trattamento sanitario obbligatorio oppure ritenerlo una misura di accertamento diagnostico, come sostengono agli Ospedali Riuniti. La base volontaria non viene messa in discussione, la sfida si sposta tra il far prevalere l’interesse del singolo o quello della collettività, come il poter arrivare a una diagnosi il più possibile precisa. Il prossimo 10 febbraio il giudice sarà chiamato a esprimersi nel merito di questo ricorso per arrivare a stabilire un procedimento d’urgenza. 


E mentre le ragioni della pandemia non schivano neppure i contraccolpi della battaglie giudiziarie, di Covid si continua a morire. Secondo l’ultimo aggiornamento del Servizio Sanità della Regione sono state 12 le vite spezzate da un virus che non recede. Sono morti 9 uomini e 3 donne, tra 63 e 98 anni, tutti con patologie pregresse. Due delle vittime erano della provincia: una era residente a Jesi, l’altra ad Ancona. Numeri che non si vorrebbero scrivere e che fanno salire a 1.978, dall’inizio dell’emergenza sanitaria, il totale di chi non è riuscito a resistere. E sono ancora le cifre a dire che l’urgenza non rientra: sono 362 i positivi rilevati nelle Marche tra le nuove diagnosi, 152 sono in provincia di Ancona. Un segno, lieve.

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