ANCONA - Un mese all’ospedale, 14 giorni in coma. La paura di morire, la gioia di rinascere. «Sì, ce l’ho fatta, ho vinto la mia battaglia per la vita» sospira Diego Urbisaglia. Non trattiene le lacrime ripensando al momento in cui ha salutato per l’ultima volta la compagna e i tre figli, prima di essere sedato e intubato perché il Covid gli aveva svuotato i polmoni e tolto il respiro. «Gli ho detto: vi amo, spero di essermi comportato sempre bene con voi. Ci rivediamo presto».
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Tutto è cominciato a fine gennaio. «Sentivo di avere l’influenza, ho chiamato la mia dottoressa, le ho descritto i sintomi e lei non ha avuto dubbi: era il Covid - racconta Urbisaglia -. Per una settimana sono rimasto a casa con 39 di febbre e la macchina per l’ossigeno, poi mi hanno ricoverato e intubato. Sì, ho avuto paura di morire, sarebbe stata una beffa dopo tutte le difficoltà che ho passato e dopo aver creduto in un progetto famiglia. Rischiavo di andarmene, proprio quando avevo trovato una stabilità».
Quando vedi la morte in faccia, e hai la fortuna di scamparla, capisci che la vita va morsa in ogni istante. Diego non ha perso tempo. «Appena mi sono risvegliato, ho chiesto a Gloria di sposarmi: dopo 11 anni ci sta». E si commuove. «Ovviamente mi ha risposto di sì, convoleremo a nozze appena tutto questo sarà finito. Purtroppo il percorso non sarà breve, ma già essere tornato a respirare non mi pare vero: è stato un brutto viaggio, ma di andata e ritorno. Ho ricevuto tanti attestati di vicinanza, ringrazio tutti, a partire da medici e infermieri di Torrette: sono stati eccezionali». Monito finale: «Non faccio prediche, ma dico a tutti: state attenti, questo virus è infame, sempre in agguato. Non sottovalutatelo».