Ancona, compagne infettate: l'untore
dell'Hiv rischia anche il carcere a vita

Ancona, compagne infettate: l'untore dell'Hiv rischia anche il carcere a vita
di Lorenzo Sconocchini
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Giovedì 22 Novembre 2018, 06:50
ANCONA - Già dal gennaio del 2009 Claudio Pinti sapeva di aver contratto il virus dell’Hiv, eppure continuava ad avere rapporti sessuali non protetti come nulla fosse, contagiando le sue partner. Quanto basta per meritarsi un’imputazione di omicidio volontario che può costare a Claudio Pinti una condanna all’ergastolo, proprio per aver commesso il reato ai danni di una persona «con cui aveva una relazione sentimentale». Aggravante equiparata a quella di un uxoricidio, che pur non essendo menzionata nel capo d’imputazione è senz’altro implicita nella descrizione dei fatti contestati dal pm Marco Pucilli.
  
L’ultima fidanzata, Romina, se ne è accorta in tempo nel maggio scorso e ora si sta riprendendo la sua vita, tenendo a bada il mostro che le è entrato nel sangue con i farmaci anti retro virali.
Ma Giovanna, la compagna che all’untore di Agugliano aveva donato la gioia della paternità, non è sopravvissuta all’incontro con il predatore di sesso che cercava voracemente sul web relazioni di ogni genere e poi, quando anche nelle vite degli altri appariva lo spettro dell’Hiv, cercava di fugarlo con il suo credo negazionista. «L’Aids non esiste, non fare il test, ti rovini la vita», provò a convincere Romina, quando lei aveva scoperto tutto, inscenando un finto test iv.
E con le su strampalate teorie su sieropositività e anticorpi, convinse Giovanna, sua convivente per sette anni, a non curarsi. Ne è certa ormai la Procura, che nella richiesta di rinvio a giudizio - attesa al vaglio del gup Paola Moscaroli nell’udienza del 6 dicembre prossimo - contesta a Pinti non solo di aver contagiato almeno due partner (l’inchiesta della Squadra Mobile su altre relazioni è ancora in corso) «intrattenendo con loro rapporti sessuali senza comunicare nulla in ordine al proprio stato e senza adottare alcuna protezione». Ma nel caso di Giovanna anche di averla «infettata causandone il decesso per complicazioni infettive di un linfona non Hodgkin B a grandi cellule», una forma oncologica «Aids definente», inducendola anche «a non sottoporsi ad alcun tipo di cora per l’infezione contratta».
Quanto basta per meritarsi un’imputazione di omicidio volontario che può costare a Claudio Pinti una condanna all’ergastolo, proprio per aver commesso il reato ai danni di una persona «con cui aveva una relazione sentimentale». Aggravante equiparata a quella di un uxoricidio, che pur non essendo menzionata nel capo d’imputazione è senz’altro implicita nella descrizione dei fatti contestati dal pm Marco Pucilli.
Rischia dunque il carcere a vita Claudio Pinti, ex autotrasportatore di 36 anni nato a Jesi, residente prima a Polverigi e Agugliano e infine, dopo essere rimasto vedovo, con gli anziani genitori a Montecarotto. Potrebbe non bastargli neppure lo sconto per il rito abbreviato, perché oltre all’omicidio volontario la Procura gli contesta un altro reato doloso (per cui sarebbe previsto l’isolamento). Si tratta delle lesioni personali gravissime (per aver cagionato una malattia certamente o probabilmente insanabile») ai danni di Romina, l’ultima fidanzata, che con la sua denuncia l’ha fatto arrestare il 13 giugno scorso.
La donna, che ha avuto il coraggio di mostrarsi in video a volto scoperto per salvare altre donne dall’Hiv, si costituirà parte civile tramite l’avvocato Alessandro Scaloni, per chiedere un risarcimento milionario. Tra le parti offese, titolate a costituirsi nell’udienza del 6 dicembre, ci sono anche la madre e la sorella di Giovanna e anche la bambina nata dalla sua relazione con Pinti. Non per danni diretti - la piccola per fortuna è nata sanissima - ma per la perdita della mamma, morta nel giugno dell’anno scorso.
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