ANCONA - In attesa che altri giudici decidano se debba o no tornare in carcere, come chiede la Procura generale, Claudio Pinti se ne sta da qualche giorno ai domiciliari nell’abitazione dei genitori nella campagna tra i vigneti di Montecarotto. Così ha disposto nei giorni scorsi la Corte d’appello di Ancona, accogliendo la terza istanza presentata dalla difesa del giovane autotrasportatore condannato anche in appello a 16 anni e 8 mesi per omicidio volontario (della ex compagna Giovanna, morta di Aids) e per lesioni gravissime nei confronti dell’ultima fidanzata Romina Scaloni, che l’ha smascherato solo dopo aver scoperto purtroppo di essere a sua volta sieropositivo. A entrambe le compagne Pinti avrebbe trasmesso l’Hiv con rapporti non protetti benché sapesse già da tempo di aver contratto il virus.
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Eppure, nonostante condanne così pesanti nei primi due gradi di giudizio (in attesa della Cassazione) di recente la Corte d’appello gli ha concesso i domiciliari. In un provvedimento che ha fatto molto discutere, il presidente Giovanni Trerè riconosce che ancora sussistono le esigenze cautelari per il pericolo di reiterazione degli stessi reati, ma sottolinea che nel frattempo l’atteggiamento dell’imputato sarebbe cambiato. A favore dei domiciliari, secondo il giudice, deponeva il tempo già trascorso da Claudio Pinti in custodia cautelare, quasi tre anni dall’arresto eseguito nel giugno 2018 dalla Squadra Mobile di Ancona, «unito al definitivo abbandono degli atteggiamenti negazionisti» dell’imputato, disposto ora a curarsi «tanto da essere sensibilmente migliorate le sue condizioni di salute generali».
Tutti elementi che «compongono un quadro tale da potersi considerare ridimensionato il pericolo di reiterazione delle condotte illecite», si legge nel provvedimento che accoglie la richiesta di domiciliari presentata dall’avvocato difensore Massimo Rao Camemi.
Istanza sacrosanta, ma la Procura generale aveva comunque già deciso di presentare ricorso al Riesame contro la concessione dei domiciliari, depositato giovedì dal Pg Sergio Sottani e dal sostituto della Procura generale Cristina Polenzani. «Non riteniamo incompatibile la permanenza a Rebibbia, si tratta di un detenuto che può essere curato dal carcere», aveva spiegato il Pg Sottani. L’udienza è stata fissata per il 25 prossimo, ma il ricorso del Pg non ha effetti sospensivi e così giovedì scorso il provvedimento della Corte d’appello è stato eseguito. Pinti può stare a casa dei genitori, sia pure con il braccialetto elettronico, e ha facoltà di recarsi agli Ospedali Riuniti di Ancona per seguire le terapie. Circostanza che sconvolge Romina Scaloni, anche lei in cura a Torrette, che dopo la decisione della Corte d’appello aveva diffuso un videomessaggio in cui lamenta di sentirsi tradita dalla giustizia.