Il cinema dell’orrore è a pezzi: volano calcinacci dall’ex Enel

Il cinema dell’orrore è a pezzi: volano calcinacci dall’ex Enel
Il cinema dell’orrore è a pezzi: volano calcinacci dall’ex Enel
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Domenica 9 Febbraio 2020, 07:40 - Ultimo aggiornamento: 10:45

ANCONA  - Il palazzo dell’orrore sta cadendo a pezzi. Piovono calcinacci dall’ex cinema Enel, un buco nero in pieno centro. La segnalazione di un residente della zona, spaventato da quei cornicioni pericolanti che rischiavano di finire in testa a qualche passante o alle auto, ha spinto i vigili del fuoco ad intervenire tempestivamente con l’autoscala. E per una mattinata la viabilità è tornata indietro di una quindicina d’anni, quando la galleria San Martino ancora non esisteva: il tunnel, infatti, ieri è stato chiuso per un paio d’ore dai vigili urbani per consentire ai pompieri di svolgere in totale sicurezza l’opera di bonifica esteriore del vicino palazzo diroccato.

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Inevitabili i disagi per la circolazione. Il traffico agli Archi è stato indirizzato su via Marconi e su via XXIX Settembre all’altezza della rotatoria. Dall’altra parte, invece, era obbligato il passaggio su corso Stamira, via Palestro e la parte alta di via San Martino. La situazione è tornata alla normalità attorno a mezzogiorno, ad intervento concluso. Ma i pericoli restano e non vanno sottovalutati. L’edificio, infatti, avrebbe problemi di staticità: la scala interna è crollata, per non parlare delle ripetute incursioni di vandali e sbandati che in passato hanno determinato crolli di parte del soffitto e un incendio scatenato da un corto circuito: i clochard, infatti, avevano improvvisato degli allacci elettrici per garantirsi la corrente all’interno del palazzo diroccato, causando il rogo. 

Una situazione di degrado assoluto nel cuore della città, per la quale sembra non esserci soluzione. Dal 2007, infatti, è fermo al palo il cantiere per la riqualificazione dell’ex cinema Enel, all’uscita dalla galleria San Martino. Seimila metri quadri di vuoto, uno scempio in piena regola, dovuto alla messa in liquidazione della società immobiliare fanese che rilevò l’edificio a 5,5 milioni. E a nulla valse la decisione del Comune di dimezzare la tassa sul mattone (abbassata a 550mila euro), tagliando gli oneri previsti dall’articolo 29 bis del Prg che impone il pagamento di 79 euro a metro cubo per la riqualificazione e il cambio d’uso di palazzi abbandonati. Una via d’uscita sembrava vicina quando, per conto di potenziali investitori, lo studio Muti trattò l’acquisto dell’immobile dalla banca e mise a punto un progetto di recupero che oscillava dai 7 agli 8 milioni ed era orientato alla social housing, cioè circa 35 appartamenti a costo contenuto e ad alta efficienza energetica distribuiti su 4 piani, più un quinto destinato ad uffici, mentre il piano terra sarebbe stato dedicato ad attività commerciali, con tanto di parcheggio interrato e un secondo park multipiano meccanizzato. 

Il progetto è ancora valido perché ha scadenza decennale (2022) ma è destinato a rimanere imprigionato sulla carta, vista la quotazione dell’immobile, finito all’asta, effettuata da un perito incaricato dal tribunale: oltre 5 milioni, praticamente il costo per rilevarlo nel 2009. «Abbiamo tentato una trattativa con la banca, ma se quello è il prezzo, totalmente fuori mercato, decade ogni ragionamento - dice l’architetto Vladimiro Muti - Anche l’asta sarà perfettamente inutile, partendo da una base simile. Parliamo di un palazzo abbandonato da qualche decennio che potrebbe avere seri problemi di stabilità. Un’asta ragionevole può partire da 2,5 milioni, ma dubito che qualcuno possa offrire più di un milione per una struttura del genere».

L’avvocato che cura la vendita all’asta ha chiesto di rivedere al ribasso la valutazione. 

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