Ancona, cattolica costretta a seguire
il Ramadan: ex compagno condannato

Ancona, cattolica costretta a seguire il Ramadan: ex compagno condannato
di Federica Serfilippi
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Mercoledì 1 Maggio 2019, 04:25
ANCONA - Era accusato di aver picchiato e maltrattato la sua ex compagna, arrivando persino a segregarla all’interno della stanza che i due dividevano alla Casa de’ Nialtri, lo stabile della Regione occupato per anni da senza fissa dimora. La vittima, una 45enne di origine laziale, aveva addirittura sostenuto che lui, un tunisino di 30 anni, l’aveva costretta al digiuno del Ramadan. L’incubo per la donna si sarebbe palesato tra l’aprile e il luglio 2015, mese in cui aveva deciso di rivolgersi alle forze dell’ordine.
  
A quattro anni dalla denuncia contro l’ex compagno, è arrivata la sentenza del giudice Francesca Grassi. Ieri, l’uomo è stato condannato a scontare un anno e otto mesi di reclusione, pena sospesa. La condanna è stata inflitta per tutti e tre i capi d’imputazione contestati all’imputato: maltrattamenti in famiglia, lesioni personali e sequestro di persona. Il tunisino, difeso dagli avvocati Paolo Tartuferi e Laura Antonelli, era presente in udienza e ha sempre rigettato le accuse, sostenendo di non mai impedito alla donna di portare liberamente avanti la sua vita. Tra l’altro, avrebbe anche smentito l’esistenza di una relazione d’amore con la vittima. Anche alcuni testimoni chiamati a deporre avevano avallato la tesi della difesa nel corso delle udienze dibattimentali, sostenendo come la donna fosse libera di muoversi all’interno del locale occupato.
Lei era stata ascoltata dal giudice nell’ottobre 2017. E aveva ripercorso quei mesi giudicati dalla stessa un inferno. In un primo momento, dopo la conoscenza, i due avevano passato un periodo in albergo, poi c’era stato il trasferimento a Casa de’ Nialtri, in via Cialdini. «All’inizio – aveva raccontato la donna – mi limitava solo verbalmente e mi imponeva le cose da fare e non fare. Ad esempio, non potevo neanche essere libera di stare i piedi su un autobus. Se lui diceva che dovevo sedermi, dovevo farlo. Le poche volte che mi spostavo per la città, mi seguiva sempre. In un secondo momento, ha iniziato a prendermi a botte se qualcosa non andava bene. Almeno cinque volte mi ha segregata in casa, chiudendomi dentro con un lucchetto per impedirmi di uscire e scappare. Una volta mi ha anche preso a testate perché gli avevo chiesto di prestarmi il telefonino».
 
Quest’ultimo episodio, secondo il capo d’imputazione, è avvenuto nei pressi di piazza Ugo Bassi il 10 luglio 2015 e ha comportato l’accusa di lesioni. Ancora le parole della 45enne: «Era lui che decideva ogni cosa. E se non facevo come diceva lui, mi picchiava, stringendomi le mani attorno al collo. Pur essendo cattolica, mi ha anche costretto a seguire il digiuno del Ramadan». Da parte della difesa è probabile il ricorso in appello per dimensionare il verdetto di condanna emesso ieri mattina.
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