Ancona, bimba nata dal seme congelato
può avere il cognome del papà morto

Ancona, bimba nata dal seme congelato può avere il cognome del papà morto
di Maria Teresa Bianciardi
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Giovedì 16 Maggio 2019, 10:27
ANCONA - Un figlio ha il diritto di avere il cognome del padre, anche se è stato concepito dopo la sua morte con una fecondazione artificiale. Lo ha deciso la Cassazione che si è espressa in favore di una donna rimasta vedova e che era in causa con il Comune di residenza. L’ufficio Anagrafe si è rifiutato di registrare la bambina come figlia di due genitori e di assegnarle il cognome del padre. Ha rinviato a un nuovo appello, stabilendo però già con questa sentenza della Prima sezione civile, l’obbligo per i giudici di merito «di rettificare un atto non compilato correttamente».
  
La coppia di questo caso aveva cercato per anni di avere un figlio, e nel 2015 aveva iniziato l’iter per ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, prestando il loro consenso. Poco dopo aver iniziato il trattamento, l’uomo purtroppo aveva scoperto di avere una malattia incurabile e dovendo assumere dei farmaci che avrebbero gravemente compromesso la propria capacità di generare, reiterava il proprio consenso autorizzando la moglie alla utilizzazione, “post mortem”, del proprio seme crio-conservato al fine di ottenere una gravidanza con l’ausilio delle tecniche di fecondazione assistita omologa. Si tratta di una pratica permessa in Spagna, dove è possibile conservare il seme fino ad un anno. La vedova si è dunque sottoposta all’inseminazione e alla nascita della bambina, due anni fa, ha chiesto che fosse registrata la paternità nell’atto anagrafico, ottenendo però un rifiuto. Secondo l’ufficiale di stato civile non bastava il documento a riprova che la fecondazione fosse stata iniziata insieme dai due genitori. Il codice civile riconosce la presunzione di concepimento fino a 300 giorni dopo la morte, e in questo caso era passato più tempo. Il tribunale convalidò la decisione e così ha fatto anche la Corte d’appello di Ancona. La Cassazione invece parte dall’assunto che il ricorso a una tecnica non espressamente disciplinata (o addirittura vietata) nel nostro ordinamento impone comunque «la necessità di individuare, nel silenzio del legislatore, lo status del figlio in tal modo venuto al mondo». E rintraccia nel consenso il nodo della decisione: quando il padre ha prestato il consenso, pur sapendo di dover morire, il bambino deve essere considerato figlio nato nel matrimonio, dovendosi individuare in quel momento la consapevole scelta alla genitorialità.
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