Una mamma disperata: «Mia figlia è zoppa per colpa dei bulli. Da 2 anni ha paura ad uscire, costretta a cambiare città»

Una baby gang ha cambiato la vita di una ragazza anconetana
Una baby gang ha cambiato la vita di una ragazza anconetana
di Stefano Rispoli
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Sabato 11 Dicembre 2021, 05:20 - Ultimo aggiornamento: 14:53

ANCONA - Patrizia e Maria, due mamme coraggio che non si fermano davanti a nulla, neanche alle minacce di morte. Si sono conosciute quando la vita le ha messe di fronte allo stesso destino: i loro figli sono vittime dei bulli. Nella chat delle future City Angels di Ancona si scambiano consigli, proposte, indizi e foto dei bad boys che si sono intrufolati come virus nelle loro famiglie, fino a squarciarne la serenità, la pace. Invocano giustizia.

Ma prima ancora, chiedono di essere ascoltate e tutelate.

Patrizia, costretta ogni giorno ad accompagnare il figlio 17enne a scuola «perché ha paura ad uscire da solo di casa» dopo l’aggressione (la terza in due anni) subita in piazza Ugo Bassi, sabato scorso, è intenzionata a scrivere al presidente Mattarella e al ministro Lamorgese. Un’ultima, disperata richiesta di aiuto. 


«Abbiamo ricevuto minacce di morte, hanno detto che ci taglieranno la gola, a me e a mio figlio - dice -. Io ci sto mettendo la faccia per tutte le mamme che non hanno il mio stesso coraggio, ma prima che ci scappi il morto c’è bisogno che qualcuno ci ascolti. Le denunce non bastano se non c’è qualcuno che le porta avanti. Si sta sottovalutando il fenomeno delle baby gang. Qui parliamo di 150 ragazzi che arrivano ad Ancona e fanno quello che vogliono: provocano, rubano, picchiano. Quello che è successo a mio figlio può accadere a chiunque. Non abbiamo a che fare con bulli, ma con criminali organizzati. Si parla tanto di rieducazione. Ma prima di tutto, servono punizioni e leggi più severe». 


Per Maria è come rivivere un incubo. Sa bene cosa significa essere perseguitati dai bulli. Sua figlia Angelica (nome di fantasia) e il fidanzato, oggi maggiorenni, non sanno più cos’è la libertà. Tutto è cominciato alla Notte Bianca del settembre 2019: furono assaliti senza motivo dalla stessa baby gang che, in quella stessa sera, tentò di aggredire Marco (altro nome di fantasia), il figlio di Patrizia, salvato in extremis dalla madre. «Se partivamo in 11 ti avremmo fatto fuori», scrissero dopo il pestaggio ai due fidanzati. Poi le intimidazioni social, finalizzate al ritiro della querela, e la spedizione punitiva in piazza Roma, nel maggio 2020. «Il centro è nostro, non dovevate tornare», urlarono i bulli. E giù calci, pugni, bottigliate, anche ad Angelica, finita all’ospedale con i polsi rotti. «Mia figlia è rimasta zoppa, dovrà operarsi di nuovo al ginocchio - non si dà pace la mamma -. Il fidanzato per lo stress accumulato ha perso i capelli, entrambi vanno da uno psicologo. Hanno dovuto lasciare Ancona, qua non ci metteranno più piede, hanno paura. Mia figlia l’altro giorno mi ha detto: “Mamma, perché non posso andare in centro a fare i regali di Natale come tutte le persone normali?”.

Questi maledetti le hanno tolto l’adolescenza, la libertà. È costretta a stare chiusa in casa, mentre loro sono liberi e continuano a fare danni». Sì perché, secondo Maria, i bulli che hanno rovinato l’esistenza ad Angelica sono gli stessi che hanno aggredito Marco. Qualche giorno fa si sarebbe dovuta celebrare la prima udienza del processo a carico di tre di loro (due napoletani e un tunisino) per il pestaggio di piazza Roma. Processo rinviato per un caso di Covid. «Mentre loro aspettano il giudizio organizzando il Capodanno in discoteca, mia figlia vive da reclusa: in carcere dovrebbero stare», tuona Maria, sempre più sfiduciata dalla giustizia. «Mia figlia l’anno scorso ha rischiato di subire un’altra aggressione in un bar del porto: un bullo l’ha riconosciuta, l’ha minacciata, le ha urlato: “Io ti finisco”. Un ragazzo è intervenuto prima che le mettesse le mani addosso. Abbiamo sporto denuncia. L’altro giorno, ci è arrivata una lettera dalla Procura: il magistrato ha chiesto l’archiviazione del caso. Una beffa. I picchiatori sono più tutelati delle vittime. Questa è l’Italia». 

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