ANCONA - Botte, intimidazioni e la minaccia del licenziamento. Loro, gli operai, quasi tutti bengalesi - almeno 16 le vittime accertate - venivano sfruttati e costretti a restituire il 15% circa dello stipendio percepito in busta paga, incluse le somme ricevute con la cassa integrazione per il lockdown di marzo e aprile.
Non c’è fine alla piaga del caporalato nei cantieri.
I tre soggetti, nella veste di “capocantieri”, a partire dal 2018 avrebbero costretto i lavoratori a restituire sotto minaccia parte dello stipendio, prospettando loro l’ipotesi del licenziamento, della riduzione dell’orario e del mancato rinnovo del contratto se si fossero rifiutati. Altri due indagati bengalesi erano incaricati di riscuotere il denaro. Per l’assunzione di un nuovo lavoratore veniva corrisposta ai tre capocantieri una somma tra i 700 e i 1000 euro. Sarebbero arrivati perfino a chiedere alle vittime 50 euro al mese per il “noleggio” degli armadietti per cambiarsi. Agli operai sarebbe stata estorta anche parte delle somme percepite con la cassa integrazione nel periodo della prima pandemia. Sequestrati 31.500 euro dai conti correnti degli indagati.
Ulteriori illeciti sono stati contestati ai titolari della ditta con sede a Falconara che, servendosi di lavoro interinale, non avrebbero rispettato i limiti imposti dal decreto Dignità, cioè l’impiego massimo del 30% dei lavoratori assunti tramite agenzie interinali. Per questo sono indagati anche i titolari delle agenzie stesse.