Quarant'anni fa l'attentato a Papa Wojtyla, l'avvocato Magistrelli: «Così aiutai Agca ad ottenere la grazia»

L'avvocato Marina Magistrelli
L'avvocato Marina Magistrelli
di Federica Serfilippi
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Venerdì 14 Maggio 2021, 04:40 - Ultimo aggiornamento: 15:58

ANCONA - È tutto nato da un telegramma inviato nel 1994. Diceva: «Fatta sua nomina, urge sua presenza». Era Ali Agca, l’attentatore turco di Papa Giovanni Paolo II, che chiedeva aiuto all’avvocato anconetano Marina Magistrelli per avviare il percorso finalizzato a chiedere la grazia, ottenuta poi nel giugno del 2000 dall’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Ieri era il quarantesimo anniversario dei colpi sparati in piazza San Pietro il 13 maggio del 1981. Colpi che portarono il turco in arresto e alla condanna all’ergastolo per tentato omicidio a un capo di Stato straniero. 

 
Dopo un periodo nel carcere di Rebibbia, dove Ali incontrò il Papa, il turco venne portato a Montacuto. È da qui che si mise in contatto con l’avvocato Magistrelli. «Perché io? Avanzo un’ipotesi: Agca era un gran lettore, sfogliava pagine e pagine dei giornali. Probabilmente aveva letto di me sul caso dell’olandesina Diana Beyer (coinvolta nel delitto del catamarano con Pippo De Cristofaro, ndr) per cui ero riuscita a farle scontare la pena (non in carcere, ndr) nel suo paese d’origine». «Cosa mi ha spinto ad accettare il caso? Era il mio lavoro, non ho mai rifiutato nessuno nella mia vita professionale». 


All’inizio, Agca «era diffidente, non si fidava di nessuno, poi siamo entrati in un contesto di consuetudine, ma mai di confidenza. Era dotato di grande memoria, veniva da un contesto di povertà assoluta.

In tutti gli anni che l’ho assistito ha sempre portato la stessa maglia. Un giorno chiese a me e ai miei collaboratori che gli serviva una camicia perché doveva andare in tribunale: la voleva del colore azzurro mare». Ci sono voluti otto anni per ottenere la grazia: «Un percorso difficile – ricorda la Magistrelli – ma non impossibile. Un punto di svolta lo ha rappresentato l’incontro tra il Papa, la madre e il fratello di Agca (si trattava del secondo contatto, ndr). Andammo a Roma tutti insieme, attraversammo la basilica di San Pietro al buio per poi fermarci sotto al colonnato. Vedere Giovanni Paolo II è stata un’emozione forte. Mi ha colpito il suo atteggiamento: cordiale con la mamma dell’uomo che aveva provato ad ucciderlo». Da lì in poi, una strada – seppur complicatissima – ma in discesa: «La mediazione del Vaticano è stata fondamentale – prosegue l’avvocato - così come il comportamento del Papa, a partire dalla visita fatta in carcere, al perdono pubblico, passando per l’incontro avuto con i familiari di Agca. Giovanni Paolo II ha aperto un percorso, mostrando benevolenza. Perché lo Stato italiano si sarebbe dovuto tirare indietro?». Il 13 giugno del 2000 la grazia concessa al turco e l’immediata estradizione. «Appena notificato il provvedimento, sono andata in carcere. Lo stavano già portando via per il rimpatrio. Ci ha ringraziato (il pool dello studio, ndr), diceva: “non ho parole, ora vado via”. Per lui un cambiamento importante, ha fatto più di 15 anni di reclusione dura, una decina in isolamento. Cosa ho pensato di fronte alla grazia? Che un po’ di giustizia era stata fatta».

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