Chiesti quasi cinque milioni di euro di risarcimento, alla Asl di Pescara per la morte di Veronica Costantini, la 32enne deceduta il 6 aprile 2019 a causa di un edema cerebrale massivo provocato da una encefalite derivante da herpes. Per questa vicenda sono finiti davanti al gup Elio Bongrazio, con l’accusa di omicidio colposo, tre medici dell’ospedale civile. Il giudice ieri ha accolto l’istanza di citazione in giudizio avanzata dall’avvocato Anthony Aliano, per conto dei familiari della vittima, nei confronti della Asl di Pescara. L’ente sarà dunque chiamato a rispondere, in qualità di responsabile civile, attraverso il dg Vincenzo Ciamponi e in caso di condanna rischia di dover sborsare 4.866.205 euro. Una cifra quantificata «in maniera prudenziale» dall’avvocato Aliano, con una richiesta di provvisionali di «almeno 500mila euro per ogni parte civile costituita»: i genitori, il marito, la figlia e un altro familiare della vittima.
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La vicenda risale al primo aprile del 2019, quando Veronica Costantini si sentì male e venne trasportata al Pronto soccorso dell’ospedale di Pescara. Poche ore dopo fu dimessa con diagnosi di “cefalea da verosimile iperpiressia da sindrome influenzale”. Le sue condizioni però si aggravarono e il 3 aprile scattò il ricovero, che tuttavia non fu sufficiente a salvarla.
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La donna giunse in ospedale con la febbre e in stato confusionale. Gli operatori del pronto soccorso chiesero a Calella una consulenza infettivologica per sospetta encefalite. Consulenza che si concluse con una «errata diagnosi – si legge nel capo d’imputazione - escludente la sussistenza di problematica di carattere infettivologico e di infezioni acute al sistema nervoso centrale». In particolare - secondo la Procura - il medico non avrebbe «adottato tempestivamente l’adeguato e corretto percorso terapeutico farmacologico, omettendo, pur in presenza di sintomatologie potenzialmente evocative della patologia, di proseguire l’iter diagnostico oltre l’esame obiettivo». Accuse analoghe a quelle mosse nei confronti di Pace e D’Incecco, che presero in carico la paziente nel reparto di Psichiatria, dove era stata ricoverata con diagnosi di “stato confusionale da sospetta psicosi all’esordio”. Ad entrambi la Procura contesta di avere omesso «di rivalutare il sospetto diagnostico».