ROMA - Un bambino prodigio, un grande talento del calcio italiano, rimasto sempre un mezzo fuoriclasse, per molti un «9 e mezzo». Ha vinto tanto da giocatore con la...
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Oggi come allora, il cammino azzurro di Roberto Mancini inizia sulle orme di un fallimento: è il 1984 e l'Italia paga la mancata qualificazione all'Europeo in Francia. Il blucerchiato è già una bella promessa, fa fuoco e fiamme insieme a Gianluca Vialli, ha 20 anni e una carriera azzurra spalancata davanti. Enzo Bearzot, non uno qualsiasi, se ne accorge e lo convoca per un'amichevole contro il Canada. Una chance che il giovanotto di Jesi si gioca malissimo, 'beccatò a rientrare in albergo a New York a notte fonda: «Per me l'avventura in Nazionale finì quel giorno», ha raccontato poi con un pizzico di amarezza il giocatore che in nazionale ha collezionato soltanto 36 presenze (con 4 reti). Il talento non basta e spesso le bizze del giocatore hanno la meglio sulle indubbie qualità tecniche anche se Azeglio Vicini prima e Arrigo Sacchi poi gli offrono altre chance poi 'bruciatè nel Mondiale 1990 in casa (convocato ma mai sceso in campo) e 1994 (non convocato).
Che fosse un predestinato lo avevano capito già a Bologna che lo fece esordire in Serie A a 16 anni, come solo i fuoriclasse. Dopo i nove gol segnati nel suo primo campionato, con una grande intuizione del presidente Paolo Mantovani, nel 1982 si trasferisce alla Sampdoria, dove resterà fino al 1997 firmando una delle pagine più belle del calcio (lo scudetto 1991, 4 Coppe Italia e una Coppa delle Coppe e la sfortunata finale Champions). Nel 1997 passa alla Lazio dove vince lo scudetto nel 1999-2000, l'ultima edizione della Coppa delle Coppe (1999) e una Supercoppa europea battendo i Campioni d'Europa del Manchester United, oltre a due Coppe Italia e una Supercoppa di Lega (1998).
Chiude la carriera al Leicester City, prima di dedicarsi alla carriera di allenatore che inizia nel 2000 come vice di Sven G”ran Eriksson alla Lazio.
Corriere Adriatico