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Giorgio Cingolani è antropologo prima che regista. Ha imbracciato la cinepresa per testimoniare le sue ricerche in giro per il mondo: Africa, India (ma si è anche interessato all’Hotel House di Porto Recanati). Da pochi giorni ha terminato la post-produzione del suo primo lungometraggio di finzione, “Neve e sangue”.
Cingolani, cosa l’ha spinta a fare questo film?
«Il desiderio di raccontare i Sibillini dopo il terremoto. La montagna spopolata, comunità dissolte. Peraltro il processo era in atto da tempo, il terremoto ha solo impresso una drammatica accelerazione. Parlo di questo attraverso la storia di un vecchio allevatore che si appresta a vivere un nuovo inverno di solitudine.
La ricostruzione va a rilento?
«Sì, e inoltre in una direzione che mi pare profondamente sbagliata. L’idea sembra essere quella di puntare tutto sul turismo. Di trasformare la montagna in un parco giochi. Nulla contro il turismo: contribuisce a fare economia. Però non fa comunità. So di progetti per l’apertura di faraonici centri commerciali, mirabolanti impianti per sciare anche in estate, attrazioni d’ogni tipo, mentre ancora mancano centri medici, scuole, servizi, le cose essenziali per chi desidera abitare in pianta stabile la montagna, con i suoi ritmi che non son quelli frenetici della città, con le sue tradizioni, rispettando l’ambiente».
È stato difficile trovare i finanziamenti per il film?
«I finanziamenti li abbiamo ottenuti vincendo un bando. E poi riuscendo a coinvolgere una casa di produzione indipendente, la Arbash di Pasquale Scimeca, gran regista. Difficile anzi quasi improbo è stato il periodo delle riprese, appena tre settimane più una di preparazione, il budget non permetteva di più. Abbiamo girato lo scorso inverno. Volevo la neve e la neve è arrivata. Anche il freddo: bestiale. Sono state settimane belle e massacranti. Con, in sottofondo, il terrore costante di doversi fermare per il Covid. Fermare il set avrebbe significato abortire il film».
Ci parli del cast.
«Gli attori son quasi tutti non professionisti. Parlano (poco) in dialetto, come nella realtà. Han fatto un ottimo lavoro, in testa il protagonista, Nazzareno Mignini, 70enne instancabile, ex carabiniere, viaggiatore come me, è stato in Africa più volte, viaggi di solidarietà».
Quando potremo vedere “Neve e sangue”?
«Ancora non lo so, l’ho appena finito. Parteciperà a diversi festival, poi con Arbash e Filmitalia cercheremo di farlo arrivare a più persone possibile». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico