SERVIGLIANO - È il grande Maestro del trasformismo, è entrato nel Guinness dei Primati per il cambio d’abito più veloce: solo 2 secondi. Arturo...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Arturo, una carriera lunga oltre 40 anni: passati velocemente o lentamente?
«Sono stati veloci. Non rimpiango nulla, però. Forse qualche pentimento, col senno di poi, ma ho sempre creduto (e ci credo ancora) che quando si chiude una porta se ne apre una più grande».
Non è stanco?
«Io? Assolutamente no! Sono sempre più determinato, perché sento il ticchettio del tempo che passa: devo compiere la mia missione, quella di far sorridere e divertire. Devo fare tante cose, il viaggio è ancora lungo: il bello è proprio nelle creazioni».
Come mai da bambino sognava di diventare regista o Papa?
«Era il 1963, ero fortunato a vivere in un condominio dove c’era la tv. Vedevo programmi con il regista Antonello Falqui, Papa Giovanni XXIII, con tutti i paramenti e ne rimasi colpito. Alla fine ho lavorato con il mio mito (Falqui) nel 1985. Avevo un sogno, l’ho realizzato e non mi sono fermato più. Quando arrivi, te ne devi porre subito uno nuovo. E poi la noia spesso aiuta la creazione: a Servigliano porterò un nuovo pezzo creato durante il lockdown».
Lei è la leggenda vivente del trasformismo. Ma come fa a cambiarsi così velocemente?
«Ho due segreti: invento io i costumi e li seguo passo passo in sartoria. Poi anche una grande sinergia con due assistenti».
Ci sarà un intervistatore?
«Sì. La serata sarà una sorta di dietro le quinte…. Ma davanti. Farò confidenze (anche divertenti), e farò alcuni numeri: ombre cinesi, disegni con la sabbia, altre cose. Insomma Arturo vi racconterà Brachetti!».
Interagirà con il pubblico?
«Sa, ci ho provato, ma come immagina non si finisce più».
“È la realtà immaginata quella che ci rende più felici”: solo un motto o un messaggio?
«Un motto in cui credo, ma un motto universale: capita ad ognuno di inventare realtà parallele. Vede quello che intendo dire lo ritrova ad esempio in alcuni post che si vedono su Facebook, mica sempre sono autentici, a volte per alcuni costruiti».
Lei a teatro indossa tranquillamente il viola… come mai?
«Tutto è relativo. In Italia il viola, in Francia il verde. C’era pure un tempo in cui gli artisti non lavoravano in quaresima per il colore dei paramenti sacri del prete. Sono meccanismi umani, dai quali però mi sento libero».
Un saluto alla nostra regione…
«La conosco bene. Ricordo Tolentino, a casa di Marconi, con la Compagnia della Rancia. Con loro ho girato molti teatri nelle Marche. Più o meno piccoli, ma tutti meravigliosi. La vostra regione è tra le più calorose, nelle grandi città la gente non sembra così contenta, in quelle piccole marchigiane la gente è felice, è tutto più bello». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico