Peter Pan, Giò Di Tonno nei panni di Capitan Uncino sabato e domenica alle Muse: «Fiaba ricca di effetti speciali»

Il musical, in scena dal 2006, vanta mille repliche e adesso arriva ad Ancona in esclusiva regionale

Peter Pan, Giò Di Tonno nei panni di Capitan Uncino sabato e domenica alle Muse
Riscopriremo che “l’isola che non c'è” è il luogo dei nostri sogni d’infanzia, assistendo a “Peter Pan”. Il musical arriva al...

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Riscopriremo che “l’isola che non c'è” è il luogo dei nostri sogni d’infanzia, assistendo a “Peter Pan”. Il musical arriva al Teatro delle Muse di Ancona, in esclusiva regionale, il 3 e il 4 febbraio, per la stagione di prosa di Marche Teatro. Lo spettacolo, in scena dal 2006, vanta quasi mille repliche. Quest’anno, nel ruolo di Capitan Uncino debutta Giò Di Tonno, un beniamino del pubblico, che l’ha molto amato nel ruolo di Quasimodo, il gobbo di “Notre-Dame de Paris”.

Come si sente, Giò Di Tonno, nei panni di questo “cattivo”, che ha turbato i sonni di tanti piccoli lettori del capolavoro di Barrie?

«In questa versione del regista Maurizio Colombi, il personaggio assomiglia alle canzoni di Eduardo Bennato: cinico, sarcastico e tanto buffo. La messinscena ha le movenze di un cartone animato e, con interpreti in carne e ossa, crea una visione fiabesca, piena di effetti speciali, davanti ai quali tutti fanno “oh”. Il mio Capitan Uncino non è troppo cattivo, come da copione, ma s’intenerisce e intenerisce, non spaventa. Rappresenta il mondo degli adulti, con cui ognuno di noi, da piccolo, ha dovuto fare i conti, uscendo quasi sempre, dalla competizione, comunque vincitore». 

Uno spettacolo per bambini?

«Soprattutto per loro, dai 5 ai 10 anni. Non ha messaggi nascosti, tutto è chiaro a tutti, genera allegria. È un musical per famiglie, piace anche ai genitori, in particolare a coloro che amano Bennato e le sue canzoni. È trasversale, pieno com’è di trovate sceniche e di splendida musica contemporanea».

Un “veterano” del musical, come lei, cosa prova a lavorare con tanti giovani e giovanissimi?

«Più che un veterano, mi sento una guida. Molti di loro escono dalle accademie. Ho io stesso una scuola di musical, perché mi piace trasmettere la passione per questo genere. Dare indicazioni di stile, quando serve, è ancora più stimolante da collega che da insegnante. E loro mi fanno sentire giovane. Poi c’è Marta Rossi, nel ruolo di Wendy fin dall'inizio. Le ripeto che lei è per “Peter Pan” quello che io sono per “Notre-Dame de Paris”. Anche lei è una veterana».

Un milione di spettatori. Un revival di questo genere?

«Soprattutto del musical italiano, che in Italia è il preferito, credo per un linguaggio, che ci appartiene fin dall'epoca del belcanto. Noi italiani ci sappiamo fare, in questo tipo di spettacolo dal vivo. E vantiamo portentosi autori».

I suoi figli, di 10 e di 3 anni, cosa pensano di Capitan Uncino interpretato dal papà?

«Il primogenito si diverte, ma i suoi riferimenti musicali sono già altri, come il rap. Il piccolo invece è rimasto folgorato: dice che da grande vuole essere Capitan Uncino. Trova spocchioso Peter Pan. Tra i due, vede la stessa differenza che c'è tra Topolino, so-tutto-io, e Paperino, parolaio e imbranato, sempre perdente».

Qual è il momento più emozionante?

«Quando Peter Pan invita tutti a sognare, a coltivare la voglia di non crescere, il pubblico si commuove. Ma questo spettacolo fa soprattutto ridere, con inserimenti, nei dialoghi, di battute di volta in volta tratte dal dialetto del posto in cui si rappresenta».

Una sua definizione?

«Mirabolante».

 

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Corriere Adriatico