Humus, fiori e teschi a Fonte Avellana. Fino al 31 luglio esposte le opere dell’artista jesino Andrea Silicati

Humus, la mostra di Andrea Silicati al monastero di Fonte Avellana
La luce del meriggio, che spiove radente sulla pietra ruvida delle pareti da un’alta finestra, accende macchie di colori. Sono i fiori che sbocciano nei dipinti di Andrea...

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La luce del meriggio, che spiove radente sulla pietra ruvida delle pareti da un’alta finestra, accende macchie di colori. Sono i fiori che sbocciano nei dipinti di Andrea Silicati: compongono la personale che si è inaugurata ieri al monastero di Fonte Avellana. Il sito, insolito per una mostra d’arte, è perfettamente idoneo per questa serie di quadri, che compongono “Humus”. Un titolo, che suggerisce il passaggio tra la morte e la vita, tra la luce e il buio.

 

Il luogo della spiritualità
L’artista jesino li ha scelti nella sua produzione dal 2009 a oggi: evocano la potenza della natura che si rinnova, della vita che trionfa sulla morte, dell’anima che, impalpabile fantasma, è luce ed energia, colore del corpo. E dove avrebbero potuto parlare con tanta forza, questi dipinti, se non in un luogo di spiritualità com’è questo monastero, da secoli? Qui, la vegetazione si affolla con vigore attorno alle mura sobrie e compassate del complesso monastico, il verde brilla a gara con l’azzurro del cielo soprastante. E dentro, nella penombra della saletta che affianca la basilica, nell’ala settecentesca, ecco i fiori rossi e azzurri, che Silicati rianima sulla carta giapponese, stendendo a più riprese il colore acrilico su tracce di disegni.

Sembrano graffiti arcaici, gli steli e le foglie che escono da forme accennate: a guardare bene, da vicino, si scorgono i profili e le occhiaie vuote di teschi calcinati dal tempo, resti di antiche sepolture, dai quali la natura risorge, come dall’humus di sedimentazioni secolari. «Non posso parlare della morte senza parlare della vita. Nei dipinti il limite tra questi due mondi non è così netto, l’uno sfuma nell’altro e viceversa», ripete Andrea Silicati, come ricorda Gabriele Bevilacqua, curatore della mostra, nel sua nota critica. Ed è quest’ultimo, nel commentare “Humus”, a fare riferimento a “Vanitas”, il genere, tipico del Seicento fiammingo, in cui nelle nature morte un teschio evocava la caducità umana.

Ma in questi quadri, dove un fiore, un tralcio vegetale si accende anche quando è dipinto in nero, negazione del colore, il senso della fine, inevitabile, è contrastato, esorcizzato dallo scoppio, imperioso e insieme gentile, della forma dei petali, dal sinuoso avvolgersi dei rami. Come di consueto, nelle opere di Silicati la vita si riprende il suo spazio, ineludibile, ciclica. E ci restituisce una visione drammatica ma carica di speranza, di fiducia nella rigenerazione, in quella energia, a tratti incomprensibile, con cui tutto passa e tutto si ricrea.

L’artista lavora sulla pagina bianca stesa sul telaio in orizzontale; sovrappone al disegno sapiente, a più riprese, macchie di colore, che si spandono e si rapprendono, finché la sua mano non diluisce, con acqua o con solvente, i contorni, che si fanno sfumati, irregolari, sfrangiati, come fiamme colpite da una corrente d’aria. E in questa sala senza tempo del monastero più suggestivo delle Marche, incastonato tra monti, il visitatore riconosce nei fiori di Silicati il suo stesso stato d’animo, di pellegrino che ha per una mattinata lasciato rumori e odori del suo tempo per lasciarsi avvolgere dall’atmosfera vivificante di Fonte Avellana. Fino al 31 luglio.

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Corriere Adriatico