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Sono vivide scintille i “Frammenti dei giorni e delle stagioni”, versi e immagini che scandiscono il tempo nella mostra che s’inaugura sabato pomeriggio a Palazzo Bisaccioni, in piazza Colocci 4 a Jesi. I versi di Francesco Scarabicchi, assieme alle foto di Giorgio Cutini, appartengono a una recente pubblicazione, un libro d’arte edito dall’Associazione Culturale La Luna di Fermo. Vede finalmente la luce un progetto che risale a dieci anni fa.
La raccolta postuma
Alla scomparsa del poeta, quelle poesie, endecasillabi e distici, erano confluiti nella raccolta postuma “La figlia che non piange”, pubblicata nel 2021 da Einaudi. È stata la casa editrice a dare il consenso a riunire di nuovo parole e immagini poetiche dedicate ai giorni della settimana e alle stagioni.
Il cimento non insolito
Il fotografo, secondo Raffaeli, “medita per immagini la parola e ne fa originale contrappunto... il suo è sguardo opposto e complementare a quello del poeta... Vela l’invadenza del reale e ne coglie gli spessori friabili... Non segue la linearità del verso, ma volta a volta ne riconosce un elemento e lo interroga per iscriverlo nella sua personale grammatica di fotografo”. E del poeta, Cutini condivide il “pudore, il cui tratto elettivo, un vero e proprio crisma di civiltà, è da sempre il ritegno”. Un cimento non insolito, nella storia della letteratura e dell’arte, di ogni tempo: definire l’essenza delle stagioni, dare la personale visione dei mesi e dei giorni della settimana. Francesco Scarabicchi e Giorgio Cutini l’hanno affrontato insieme, con eccelso risultato.
Il poeta designa i giorni col nome in latino – dies Lunae, dies Martis, e così via – e poi li identifica con tanti endecasillabi quante sono le lettere di quel nome, che si susseguono, in acrostico, verso dopo verso. “Colori” diversi, differenti posizioni, e sussurrate aspettative, nella settimana. Poi, un verso fa da didascalia a ogni foto: mercoledì è “giorno che sta nel mezzo, ponte breve”, di fronte a un’immagine di architettura geometrica; la croce scrostata addossata a una pietra è segno del dies Domini, “cosmogonie di sensi e brividi terreni”. Solo tre esseri umani abitano queste foto, tre donne: una signora pensosa in salotto, per il dies Veneris; un nudo su un letto disfatto, per il sabato; infine, in Clausola, il fantasma di un’osservatrice che traspare da una grande “Combustione plastica” di Alberto Burri. Ed ecco cosa scrive Scarabicchi: “S’apre di nuovo ciò che qui si chiude/... al giungere sul limite, al tornare”.
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