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«Io non ho paura. Quando dirigo un film vado diretta allo scopo, non mento, non piango. Mi preoccupo semmai che sia tutto credibile». Si chiude con queste parole e una standing ovation il lungo incontro con il pubblico di Jodie Foster, attrice, regista, attivista dei diritti Lgbt, donna tostissima, icona di stile. Poco dopo il 74mo Festival accoglie con tanti applausi il film di François Ozon Tout s’est bien passé (è andato tutto bene), storia di due sorelle che aiutano il padre malato a praticare il sucidio assistito, protagonisti fra dramma e leggerezza Sophie Marceau, André Dussolier, Géraldine Pailhas.
LA SORPRESA
La Palma d’oro alla carriera bene in vista sul tavolo, abbigliamento minimal (camicia bianca, pantaloni neri, niente gioielli), Jodie, 58 anni, si è raccontata in un francese perfetto appreso al Liceo straniero di Los Angeles. E il Festival le fa trovare in prima fila il suo antico professore. «Mi sbatteva sempre all’angolo», esclama l’attrice, felice della sorpresa.
IL RISCHIO
Quando ha deciso di fare la regista? «A 16 anni, volevo un lavoro più intellettuale della recitazione. Dirigendo a 27 Il mio piccolo genio sfidai il parere contrario di mia madre». Ed è sempre la madre che le sconsiglia, per non sottrarre energie al cinema, di iscriversi all’università di Yale: «Ma è stato il rischio più intelligente che abbia mai deciso di correre, studiare mi ha insegnato ad andare in profondità anche nel lavoro». Tra i progetti naufragati di Jodie c’è il film su Leni Riefenstahl, la regista di Hitler: «La sua storia insegna che l’arte non va messa al servizio del male, spero che qualucuno la porti sullo schermo: sono pronta a interpretare Leni da vecchia». Il cinema resisterà allo streaming? «Siamo in piena transizione culturale e sulle piattaforme si posso vedere i film d’autore. C’è posto per tutti».
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Corriere Adriatico