ANCONA - “Un duello che dura per vent'anni”, una metafora ardita ed elegante, dirompente come tutto quello che ha scritto Joseph Conrad. “I...
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Alessio Boni getta in questa parte il cuore, l'entusiasmo e il fuoco di un'inarrestabile passione.
Si scatena, se gli domandi:
Quanto di te c'è nel duellante Armand D’Hubert, il controllato e affascinante ussaro del Nord?
Tutto! Come potrei fare altrimenti? Non solo in questa parte: in tutto quello che faccio! Non sono un impiegato statale. È una passione, quella che mi ha chiamato.
E ti è simpatico D'Hubert?
È un uomo con mille dubbi, ma d'altra parte le certezze sono solo degli stupidi o dei cafoni... più cresci e più ti poni domande, cerchi di superarti. Mi fa paura la sicurezza, avere solo certezze. Lui è un tenente che fa carriera fino al grado di generale, e intanto si crea problemi: su Napoleone, sull'amore, sulla serenità... Ed ecco, incontra il suo alter ego, Gabriel Florian Feraud, il suo opposto, impulsivo, rissoso e incontentabile, che invece per Napoleone darebbe la vita, senza dubbi. Così il loro scontro sempre interrotto e sempre ripreso è metafora del duello col minotauro che è in noi, di ognuno con se stesso, per migliorarsi. E se non sei così, sopravvivi: non vivi!.
Se Feraud è la parte negativa di ognuno di noi, tu sei anche un po' come l'altro... ti ci ritrovi?
Ma sì: anch'io ogni tanto metto da parte il raziocinio, e lascio prevalere l'animalesco che è in me. È un pungolo, comunque deve poter emergere, se no ci trasformiamo in struzzi....
Ma, scusi se insisto, ti senti più D'Hubert o Feraud?
Tutti e due! Perché mi sembra sempre interessante entrare nelle vite degli altri, ascoltarli: sono curioso e introspettivo. E ho un sacco di dubbi.
Il senso di questo testo?
Loro non vogliono duellare per uccidersi, nessuno può uccidere l'altro, che è il nemico dentro di sé. Però la loro sfida è quella che devi importi quotidianamente. E mi piace, perché è una metafora dell'esistenza: devi capire cos'hai dentro, e farci i conti. Devi andare al fondo della tua vita, dove scorre un fiume in piena.
Come hai scelto di interpretarlo?
L'abbiamo scelto insieme. Ero a Venosa, al termine di un monologo di Prayer, con Aldorasi e Niccolini: Marcello e io abbiamo cominciato a parlare delle nostre personalità, a dare giudizi l'uno dell'altro. Niccolini ha detto: “Siete come I duellanti di Conrad! Portiamolo in teatro: se non con voi, con chi?” Amiamo le idee che nascono all'improvviso. Tra l'altro, come i due protagonisti sono uno del Nord e uno del Sud, io sono di Bergamo, e Marcello è barese. La casualità mi ha cercato. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico