"I duellanti" al Teatro delle Muse Alessio Boni sfida Marcello Prayer

Foto di scena con Alessio Boni e Marcello Prayer
ANCONA - “Un duello che dura per vent'anni”, una metafora ardita ed elegante, dirompente come tutto quello che ha scritto Joseph Conrad. “I...

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ANCONA - “Un duello che dura per vent'anni”, una metafora ardita ed elegante, dirompente come tutto quello che ha scritto Joseph Conrad. “I duellanti” nasce da un suo racconto, che ha poi segnato l'esordio vincente di Ridley Scott, nel '77, con un film pluripremiato. Il testo di Conrad sale ora sulle scene, con l'interpretazione di Alessio Boni e Marcello Prayer: ed è subito scintillante confronto tra due grandi interpreti, oltre che tra personalità contrapposte e infuocate. “I duellanti” chiude degnamente, da giovedì a domenica alle Muse di Ancona la stagione di prosa di Marche Teatro.

Alessio Boni getta in questa parte il cuore, l'entusiasmo e il fuoco di un'inarrestabile passione.

Si scatena, se gli domandi: 
Quanto di te c'è nel duellante Armand D’Hubert, il controllato e affascinante ussaro del Nord?
Tutto! Come potrei fare altrimenti? Non solo in questa parte: in tutto quello che faccio! Non sono un impiegato statale. È una passione, quella che mi ha chiamato.

E ti è simpatico D'Hubert?
È un uomo con mille dubbi, ma d'altra parte le certezze sono solo degli stupidi o dei cafoni... più cresci e più ti poni domande, cerchi di superarti. Mi fa paura la sicurezza, avere solo certezze. Lui è un tenente che fa carriera fino al grado di generale, e intanto si crea problemi: su Napoleone, sull'amore, sulla serenità... Ed ecco, incontra il suo alter ego, Gabriel Florian Feraud, il suo opposto, impulsivo, rissoso e incontentabile, che invece per Napoleone darebbe la vita, senza dubbi. Così il loro scontro sempre interrotto e sempre ripreso è metafora del duello col minotauro che è in noi, di ognuno con se stesso, per migliorarsi. E se non sei così, sopravvivi: non vivi!.

Se Feraud è la parte negativa di ognuno di noi, tu sei anche un po' come l'altro... ti ci ritrovi?
Ma sì: anch'io ogni tanto metto da parte il raziocinio, e lascio prevalere l'animalesco che è in me. È un pungolo, comunque deve poter emergere, se no ci trasformiamo in struzzi....

Ma, scusi se insisto, ti senti più D'Hubert o Feraud?
Tutti e due! Perché mi sembra sempre interessante entrare nelle vite degli altri, ascoltarli: sono curioso e introspettivo. E ho un sacco di dubbi.

Il senso di questo testo?
Loro non vogliono duellare per uccidersi, nessuno può uccidere l'altro, che è il nemico dentro di sé. Però la loro sfida è quella che devi importi quotidianamente. E mi piace, perché è una metafora dell'esistenza: devi capire cos'hai dentro, e farci i conti. Devi andare al fondo della tua vita, dove scorre un fiume in piena.

Come hai scelto di interpretarlo?

L'abbiamo scelto insieme. Ero a Venosa, al termine di un monologo di Prayer, con Aldorasi e Niccolini: Marcello e io abbiamo cominciato a parlare delle nostre personalità, a dare giudizi l'uno dell'altro. Niccolini ha detto: “Siete come I duellanti di Conrad! Portiamolo in teatro: se non con voi, con chi?” Amiamo le idee che nascono all'improvviso. Tra l'altro, come i due protagonisti sono uno del Nord e uno del Sud, io sono di Bergamo, e Marcello è barese. La casualità mi ha cercato. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico