I Gang, veri poeti della rivoluzione Sul palco stasera al Grizzly di Fano

I Gang, veri combat-folk-rockers
FANO - Sandro e Marino Severini cominciarono la loro avventura musicale molto presto, nelle Marche, a Filottrano. Da subito, si contraddistinsero a livello nazionale come veri...

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FANO - Sandro e Marino Severini cominciarono la loro avventura musicale molto presto, nelle Marche, a Filottrano. Da subito, si contraddistinsero a livello nazionale come veri poeti rivoluzionari del rock, con testi di denuncia sociale e politica, ispirati dai grandi autori della musica italiana degli anni ‘70-80, rappresentanti di quell’epoca in cui si mettevano i fiori dentro i cannoni. Appassionati musicisti sì, ma legati profondamente a dei valori che ancora oggi li rappresentano: dei veri combat-folk-rockers. Nel loro ultimo cd “Calibro 77”, i Gang raccontano la voglia di ri-cantare pezzi che hanno segnato la cultura degli anni ’70 e la loro storia, con la collaborazione e l’esperienza di Jono Manson, produttore e cantautore from Santa Fe’, New Mexico, e un suono di frontiera a renderle internazionali.

Più di 30 anni di Gang: Marino, come raccontarli tutti in sintesi? 
«Mi presento tutte le sere sul palco con una canzone, con la quale presento i documenti d’identità dei Gang. Pur attraversando tante strade c’è una canzone che racconta bene la nostra storia, lo spirito che deve passare, “Bandito senza tempo”: “Non sono io ma il vento che m’attraversa” dice uno di quei versi ed è un vento che viene da molto prima dei Gang e spero che vada anche oltre».
Quali ricordi hai di tutti questi anni?
«Le facce: mi ricordo benissimo le facce i nomi no. Sono tante, centinaia di occhi, di abbracci, una intera comunità che ruota attorno alle canzoni dei Gang, che si ritrova, come ha sempre fatto l’umanità, attorno al fuoco dopo il tramonto».
Dove il fuoco sono i Gang?
«Più che i Gang, le canzoni! Le canzoni sopravvivranno ai Gang e sono molto più importanti. Non gli autori, ma le opere».
Ma voi siete riusciti a raccontare molto in questi anni, è a voi che si deve questa memoria...
«Il lavoro nostro è stato di riuscire a rubare le storie, trovarle dove si erano rintanate. Siamo come dei giardinieri che si prendono cura di questo grande giardino che ognuno di voi ha dentro».
Un lavoro grandissimo...

«Mi sento grande solo di età! Le nostre canzoni non sono “prodotti”, non sono delle merci, sono beni e l’aspirazione è di farli diventare “beni comuni”. Le canzoni servono per essere cantate, da tutti. Venendo da tradizioni contadine so bene che una cosa è bella se è utile: la bellezza va insieme all’utilità altrimenti non sarebbero belle canzoni, ma un “ciaffo” che prende polvere». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico