ANCONA - Silvia Gallerano, nuda, appollaiata in un trespolo, racconta la sua storia in sessanta minuti di monologo straordinario. Questo accade a teatro, dove l'attrice...
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Perché questo spettacolo pluripremiato piace così tanto?
“Ceresoli, attraverso una scrittura particolare, mischia un parlare quotidiano a tratti non corretto grammaticalmente. E' una partitura musicale, quindi dentro un lirismo tale per cui si colgono dei riferimenti che non sono appiattiti alla realtà quotidiana. Credo sia per questo che anche all' estero si siano ottenuti riconoscimenti. Non ci sono riferimenti a personaggi particolari, ma alla nostra storia risorgimentale, che può essere riconosciuta come storia di ogni Paese nell' affermazione della propria identità statale. E' un monolgo, una presa di coscienza di una ragazza pronta a tutto pur di farcela, di apparire a tutti i costi, rinnegando qualsiasi valore”.
Di Italia ce n'è nella storia: Ceresoli non parte da Pasolini quando, all'affacciarsi della società dei consumi, parlava degli italiani definendoli 'prodotti di un genocidio culturale, di quel totalitarismo ancor più duro di quello fascista, poiché capace di annientare con dolcezza'?
“In effetti si però, quando siamo stati all' estero, abbiamo capito che molti, più che l' Italia, vi riconoscevano la società occidentale”.
Perché recita nuda?
“E' mostrare un corpo vero, quando siamo abituati a vederne di plastica. Durante lo spettacolo il corpo scompare in fretta, essendo il lavoro basato sulla parola. E' un percorso interessante poiché si è in uno stato di maggiore animalità, si osa col corpo e con la voce qualcosa che se fossimo in tailleur non oseremmo”.
Riflettevo sul vostro spettacolo e sul film 'La grande bellezza': due prodotti italiani che hanno ricevuto un forte plauso e premi prestigiosi all' estero. Ognuno a suo modo racconta una certa Italia o, per meglio dire, usi, costumi e mal-costumi di una certa società. Come va letto questo successo?
“Penso che l'immagine dell' Italia ne 'La grande bellezza' sia quella che all' estero si voglia avere, per poterne avere un po' pena. A volte capita che pecchino di superiorità. Nel nostro caso, mi ha colpito che lo spettacolo non sia stato troppo schiacciato sull' italianità, ma letto sul senso più generale, un po' meno sulle Olgettine o su Ruby”. Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico