ANCONA - Tre ragazzine chiuse in casa, relegate in quel luogo protetto da un padre paranoico, terrorizzato dai pericoli del mondo di fuori. Sembra un instant movie,...
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Profetico, Emanuela?
«Solo realistico. Ho ideato il soggetto tre anni fa, sull’onda del degrado ambientale. Quando la montatrice ha letto la sceneggiatura, è rimasta colpita, come pure il responsabile della Film Commission Torino Piemonte. Hanno esclamato: “in questo film sta per arrivare l’apocalisse!”. Poi, è arrivata. I segni c’erano tutti, non c’è bisogno di essere veggenti».
Oggi questo soggetto andrebbe a ruba. Tre anni fa, qualche problema a farlo “passare”?
«L’ho sottoposto a vari produttori, e ho avuto solo tiepide risposte. Da qualcuno, addirittura, un certo disgusto. Sembrava impossibile riuscire a farsi produrre un soggetto del genere. In Italia, malata di neorealismo, si preferiscono commedie rassicuranti o l’iper-realismo. Raccontare che, fuori, il nostro ambiente soffre, sembra subito fantascienza. Ma non è così».
Adesso lo sappiamo bene. Ma, al di là della denuncia dell’alterazione dell’ambiente, da dove nasce questo apologo della claustrofobia, implicita nell’ambiente familiare?
«Da un’idea di soffocamento, che ha due matrici. Da quando è nata mia figlia, dieci anni fa, ho sviluppato apprensione per la salute del contesto in cui lei si troverà a crescere. Mi chiedevo: se l’effetto serra avrà una progressione esponenziale, lei dovrà restare sempre in casa? Quello che succede alle tre protagoniste di “Buio”. E, più indietro nel tempo, ho forse maturato la fobia dei luoghi chiusi nella famiglia, marchigiana, iperprotettiva, che cercava di tutelare noi ragazze dai pericoli esterni. Una tutela lecita, ma che a giovani come me, esuberante, scatenata, provocava un senso di soffocamento e ribellione. Solo più tardi ho capito le preoccupazioni di mio padre».
Nel film, il padre iperprotettivo è interpretato da Valerio Binasco. Perché lui?
«È un attore istrionico, complesso al limite del bipolarismo, che in cuor mio ho designato irrevocabilmente, quando gli ho visto interpretare, a Torino, il ruolo di Don Giovanni. E ha saputo dare le giuste movenze a un padre premuroso e insieme dittatore».
Nel ruolo della protagonista assoluta, Stella, la figlia maggiore, c’è Denise Tantucci. C’entra il fatto che sia anche lei marchigiana, di Marina di Montemarciano?
«No, in realtà l’ho scelta quando l’ho vista recitare nella fiction “Sirene”. È stata un’illuminazione, aveva un che di familiare. Ed è stato un valore aggiunto: ci siamo capite al volo su certi aspetti dei rapporti familiari, che mi ha aiutato a spiegare anche a Valerio. Ha poi rivelato un aspetto imprevisto della sua personalità: il distacco da dark lady, che ha fatto vivere il personaggio».
Vi assomigliate.
«Qualcuno ha detto che sembriamo madre e figlia. È perfetta, con quell’aria retrò, che mi serviva per creare un’atmosfera da dopo-Chernobyl. Per questo, le ragazze hanno abiti e atteggiamenti datati, perbene, in aperto contrasto con l’ambiente di fuori, ipermoderno. Mi sono ispirata a Hitchcock, la passione della mia infanzia».
Accanto a Denise, un’adolescente di 14 anni e una bambina di 4. Che lavoro ha dovuto fare con loro, nelle riprese di un film decisamente inquietante?
«È stato un lavoro lungo di preparazione a una storia così dura. Ci trovavamo ogni due settimane a casa di Denise, a Milano. Chiacchieravamo, le lasciavo improvvisare. Poi è arrivato Binasco, e con la sua intelligenza ha portato una riflessione colta sul film, ne ha spiegato il significato anche a me».
Prodotto da Corbucci sarà distribuito su MyMovies
“Buio” è tra i primi film indipendenti a uscire dopo la pandemia. Prodotto da Claudio Corbucci, sarà distribuito su MyMovies. «Abbiamo scelto – spiega Corbucci - di coinvolgere anche i cinema, chiusi da troppo tempo. L’abbiamo proposto ai gestori che sono più impegnati sul fronte della distribuzione di prodotti indipendenti. Una forma di aiuto reciproco. In molti hanno risposto: loro promuovono il film, e noi diamo loro una mano a rientrare nel giro, a mantenere vivo il rapporto col loro pubblico. Per vederlo online, si paga il biglietto, di cui assicuriamo una percentuale agli esercenti. Sarà come se lo spettatore fosse in sala, ma assisterà alla proiezione da casa. Prima o poi, le sale riapriranno, ma non certo prima dell’autunno. Dipenderà anche dalla parabola del contagio». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico