JESI - Sono pugni nello stomaco che fanno male, stilettate che arrivano dritte al cuore e fanno riflettere. I monologhi di Giorgio Montanini, straordinario comico fermano...
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- Montanini, si capisce dal titolo che ha rivisitato lo spettacolo durante la quarantena. E’ così?
«Sì, nel periodo di lockdown ho preferito restare in silenzio, oltre che a casa, a differenza di tanti miei colleghi che sono apparsi sui social. Credo fermamente che un artista deve esprimersi prima di tutto sul palcoscenico. Ho approfondito diversi aspetti sulla pandemia e su ciò che abbiamo vissuto in questi mesi».
- E che idea si è fatto?
«Il Coronavirus, come il terremoto, ha fatto emergere le falle dello Stato, inadeguato ad affrontare le emergenze. Ci ha piegato un virus che si poteva fronteggiare diversamente e con maggior efficacia e a noi cittadini hanno tolto libertà fondamentali».
- Non le sembra che talvolta il pubblico rimanga esterrefatto e disorientato dalle sue battute?
«E’ così infatti perché io raggiungo iperboli impensate, massacro le certezze e incentivo dubbi profondi. Vedo gente che non è felice eppure è inerme o privilegia divertimenti effimeri e superficialità. Dovremmo riappropriarci della nostra esistenza, invece sopravviviamo e vivacchiamo, seguendo lo schema di sempre: scuola, lavoro, quotidianità banale, abitudini mortali, pensione. Tutto vissuto senza sussulti, senza entusiasmi, a parte poche eccezioni. I giovani dovrebbero ribellarsi a questo schema e dovrebbero osare: eventuali errori e alcune prevedibili sconfitte contribuiscono a crescere e migliorare ma stare immobili significa morire». Leggi l'articolo completo su
Corriere Adriatico